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"Dieci morti per amianto" La perizia su Olivetti inchioda De Benedetti

Al processo di Ivrea arriva la prova chiesta dai giudici: è «certo» che i tumori degli operai furono causati dalle condizioni di lavoro. E i vertici sapevano

"Dieci morti per amianto" La perizia su Olivetti inchioda De Benedetti

L' Olivetti peggio della Thyssen. Sul tavolo del giudice Elena Stoppini, chiamata a giudicare amministratori e manager dell'azienda di Ivrea per le morti da amianto, arriva il documento finale del processo, la perizia che il giudice - di fronte ai pareri contrastanti di accusa e difesa - ha ordinato per vedere chiaro in ognuno dei quattordici casi di dipendenti morti o ammalati portati in aula dalla Procura. E il responso sembra non lasciare spazi alle linee difensive di Carlo De Benedetti, per diciott'anni amministratore delegato dell'Olivetti, e degli altri imputati.

Per dieci volte, accanto a dieci nomi, nella breve, e apparentemente asettica relazione conclusiva dei periti, compare una parola: «certo». Per i periti, è «certo» che ognuno di questi dieci casi è un caso di mesotelioma pleurico. E di mesotelioma pleurico ci si ammala praticamente in un solo modo: lavorando accanto all'amianto.

Due dei dieci casi certi portano i nomi di Bruna Perello e Pierangelo Bovio Ferrassa, le uniche vittime ancora in vita, che sono venuti nell'aula del processo a Ivrea mostrando i segni drammatici della malattia senza speranze che li ha investititi. Gli altri otto riguardano operai e impiegati morti nei mesi e negli anni scorsi: per alcuni, stroncati dal male prima dell'apertura dell'inchiesta, si è dovuto ricorrere al materiale dell'autopsia per definire i marcatori che i periti hanno individuato di comune accordo come le tracce certe del mesotelioma pleurico. Nei laboratori dell'Humanitas di Rozzano, i periti hanno studiato il materiale istologico sezionato a campioni da tre micron, colorato con i reagenti, sottoposto alle reazioni chimiche. Per quattro casi, uno dei quali condizionato dalla scarsità del materiale, hanno concluso che il tumore mortale non fu un mesotelioma. Per gli altri dieci casi, però, è arrivato il verdetto senza appello: mesotelioma «certo».

Era l'ultimo atto del processo, prima della requisitoria con cui il 13 giugno le pm Laura Longo e Francesca Traverso tireranno le somme e presenteranno le loro richieste di condanna. La decisione del giudice Stoppini di fermare il processo e ordinare la perizia aveva dato il polso di quanto per il tribunale fosse cruciale individuare al di là di ogni dubbio le cause dei decessi. Ora la perizia spazza via le ombre. E l'unico fronte ancora aperto del processo, l'unico terreno di battaglia tra accusa e difesa, resta quello delle colpe individuali di amministratori e manager: quanto sapevano, gli uomini che governavano l'Olivetti, del rischio terribile cui venivano esposti i dipendenti senza l'ombra di una protezione? C'erano cappe di aspirazione? «No» Avevate maschere? «No» Vi hanno mai parlato di amianto? «No»: così è andato in aula l'interrogatorio del sopravvissuto Bovio Ferrassa. Ma su questo fronte, per le due pm la certezza c'è già nelle carte del processo, quelle saltate fuori durante le perquisizioni nell'archivio storico dell'Olivetti, e che dimostrano per la Procura come i vertici sapessero tutto.

Anche per non essere chiamati a rispondere di quelle carte, De Benedetti e gli altri top manager imputati - tra cui suo fratello Franco - hanno scelto, due udienze fa, di non presentarsi in aula a rispondere alle domande del pm.

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