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Giappone, bufera sessista «Le donne single? Un peso per la società»

Caos per le frasi di un deputato del governo Abe. Ma la natalità ai minimi storici, come nel 1899

Giappone, bufera sessista «Le donne single? Un peso per la società»

Nel Giappone preciso e misurato, alle donne viene anche indicato il numero di figli consono da mettere al mondo: «Almeno tre bambini». La raccomandazione è arrivata da un deputato del partito liberaldemocratico del premier Shinzo Abe. Non voleva essere offensivo, ha poi dichiarato Kanji Kato, il diretto interessato, ma solo cercare di frenare l'inesorabile invecchiamento della popolazione giapponese, che continua ad avere la percentuale più alta al mondo di cittadini over 65 (26,3 per cento, ma entro il 2030 gli analisti prevedono che un terzo della popolazione sarà anziana).

Kato, ex vice ministro dell'Agricoltura, si trovava a un incontro di partito quando ha deciso di attirarsi le ire delle colleghe. «Quando devo intervenire ai matrimoni - ha detto il deputato - incoraggio gli sposi a fare almeno tre figli». Quando invece si trova a conversare con giovani donne single, il politico spiega loro che rimanere single significa essere un peso per lo Stato. «Le donne che non si sposano non procreano, e finiranno i loro giorni in una casa di riposo pagata grazie alle tasse versate dai figli degli altri». Le frasi di Kato, che dà il buon esempio con 6 figli e 8 nipoti, hanno provocato le proteste di alcune deputate, che hanno parlato di sessismo. Una parlamentare presente alla scena ha argomentato che l'episodio è «esattamente» un caso di «molestia sessuale». Il deputato, dopo aver inizialmente difeso l'uscita, ha ritrattato, dicendo che non voleva «mancare di rispetto alle donne».

L'anno scorso il Giappone ha registrato il record negativo di nascite: solo 941mila su una popolazione di 127 milioni di persone, livello mai così basso dal 1899. Nei giorni scorsi i nuovi dati demografici pubblicati dal ministero dell'Interno di Tokyo hanno mostrato che le cose non stanno migliorando: al 1° aprile di quest'anno erano censiti 15 milioni e mezzo di cittadini sotto i 15 anni, 170mila in meno rispetto al 2017. I giovani non si sposano più, o lo fanno sempre più tardi: secondo un report del governo datato 2015, quasi un uomo su 4 all'età di 50 anni non è mai stato sposato, mentre per le donne la percentuale è di una su 7. Cinquant'anni fa solo l'1,70% degli uomini e il 3,33% delle donne non aveva mai messo la fede al dito a quell'età. Perché? Orari di lavoro che lasciano poco tempo alla sfera privata, salari troppo bassi per pensare di mettere su famiglia, vita eccessivamente cara nelle grandi città, mancanza di politiche di sostegno alla maternità. E minori pregiudizi sociali: decidere di rimanere single non è più un tabù, e sempre più giapponesi stanno scegliendo di vivere così. Pregiudizi che, però, continuano a sopravvivere nella classe dirigente politica del Paese. Le parole del deputato Kato non sono le prime che vanno in questa direzione. Era il 2007 quando l'allora ministro della Salute giapponese, Hakuo Yanagisawa, definì le donne (per di più in campagna elettorale) «macchine sforna neonati», implorandole di «fare del loro meglio» per fermare il calo demografico.

Ma meno popolazione attiva significa anche carenza di manodopera. E, paradossalmente, potrebbe essere questo ad aiutare le donne a smarcarsi dal ruolo di mamme e casalinghe, in un cortocircuito di case ed effetti. Esortate dal premier Abe, infatti, le aziende giapponesi stanno assumendo sempre più donne.

Come Nissan e Toyota, che stanno andando alla ricerca delle (ancora poche) ingegnere per attuare una maggiore parità di genere.

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