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Italiani rapiti in Libia, per l'esercito è opera di Al Qaida

Una banda criminale potrebbe averli presi e venduti: "Ma la mano è quella jihadista"

Italiani rapiti in Libia, per l'esercito è opera di Al Qaida

Il rapimento libico di Bruno Cacace e Danilo Calonego ha le impronte di Al Qaida. Uno scenario da incubo per il team di sicurezza italiano arrivato ieri a Ghat, nel sud ovest della Libia, per coordinare le ricerche. La dichiarazione bomba arriva dal colonnello Ahmed al Mismari, portavoce dell'esercito libico del generale Khalifa Haftar, forte in Cirenaica, che sta cercando di penetrare nella regione meridionale del Fezzan, dove è avvenuto il sequestro. «Il rapimento dei tre tecnici stranieri porta la firma di al Qaeda» sostiene il colonnello Mismari. Il terzo ostaggio sarebbe un canadese, ma voci non confermate parlano di un nord coreano. «Il sequestro è stato compiuto da una banda criminale. Tuttavia, per come è stato eseguito, i segni sono quelli lasciati solitamente da Al Qaeda» ha dichiarato l'ufficiale di Haftar al sito libico Al Wasat.

Fonti de il Giornale confermano che i «rapitori erano organizzati con un piano ben preciso. E soprattutto hanno sfidato le tribù locali che garantiscono la sicurezza. Gli italiani erano considerati ospiti e quindi protetti. Solo una organizzazione terroristica o dei criminali ben pagati possono compiere un gesto di sfida del genere». Il sindaco di Ghat, città vicina al confine algerino, Gomani Muhammad Saleh ha ribadito che gli ostaggi sono in mano «ad un gruppo di fuorilegge, ma non neghiamo che Al Qaeda sia attiva nei dintorni». E non esclude che i rapitori «potrebbero consegnare gli ostaggi ad Al Qaida, ma non ce lo auguriamo».

Ieri è arrivato «un team di sicurezza italiano - ha rivelato il primo cittadino - Ci siano riuniti con gli apparati militari e di sicurezza e con gli ufficiali di Ghat». Una fonte libica de il Giornale ha spiegato che si tratta «di 5 uomini atterrati con un aereo privato. Sono rientrati nel pomeriggio a Tripoli». La stessa fonte spiega che «non è arrivata ancora una richiesta di riscatto. Il problema è che Al Qaida ha i soldi per comprarsi gli ostaggi e portarli in Algeria o Niger. Per questo bisogna fare in fretta, ma c'è bisogno di elicotteri per perlustrare il territorio». Nell'area opera il famigerato terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar legato ad Al Qaida, ma pure allo Stato islamico.

Dall'oasi di Sheba, le forze fedeli alla città stato di Misurata, hanno promesso l'invio di truppe ed un velivolo. I francesi dalla loro base avanzata a Madama, sul confine fra Niger e Libia, potrebbero lanciare i droni. Anche il comando americano Africom è in grado di intervenire con una sorveglianza dal cielo. Il problema è che il sequestro si intreccia con l'impasse politica-militare in Libia. Ieri a New York il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni ed il segretario di Stato Usa, John Kerry, hanno aperto l'incontro per coinvolgere il generale Haftar nel futuro del Paese trovando un difficile accordo con il governo di Tripoli appoggiato dall'Onu ed in prima fila dall'Italia.

Da Sedico, nel bellunese, spunta il libro che Calonego, uno degli ostaggi, aveva finito prima del sequestro. «Dedicato alle mie tre figlie, Simona, Pamela e Wisal. Avevo da tanto tempo il desiderio di scrivere, a mio modo, la mia vita nella buona e cattiva sorte. Sono nato il 27 marzo dell'anno 1948, di Sabato Santo...». Comincia così il lungo manoscritto dell'ostaggio anticipato in parte a Il Giornale. Racconti di viaggi, dell'infanzia poverissima e dell'immancabile Libia. Nel 2011 il lavoratore giramondo descrive la rivolta contro il colonnello Gheddafi e ricorda «...un freddo immenso in stanzoni sporchi e una confusione da non credere con M.F., che si era sentito male». La figlia Simona, davanti casa, ha gli occhi verdi colmi di lacrime. L'ultima mail ricevuta del padre, domenica sera annunciava che sarebbe rientrato il 28 settembre: «Sento che se la caverà. Chiedo soltanto che non lo maltrattino e che gli diano acqua, tanta acqua. Ne ha passate tante, ma è partito di sua spontanea volontà, contento e orgoglioso come sempre».

(ha collaborato Serenella Bettin)

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