Cronache

Nuovo cinema Starbucks. E Milano diventa backstage

Tutti a spiare i vip al vernissage del brand americano. Così la metropoli si trasforma in capitale del mondo

Nuovo cinema Starbucks. E Milano diventa backstage

La prima domanda è stata: chi c'è lì dentro? Perché qualcuno deve esserci. Ci troviamo a cinquanta metri e cinquemila anni-luce dalla sede del nostro Giornale, e qualcosa si è intromesso tra metro e metro, una specie di faglia spaziotemporale tra mondi paralleli, trasformando il vicino in lontano.

Il centro di Milano è tutto transennato, poliziotti vigili vigilantes si succedono in posti di blocco sempre più ravvicinati, fino ai cordoni di velluto dell'ex-palazzo della posta di piazza Cordusio, dove il 6 settembre 2018 - lo scrivo per le generazioni che verranno - si è finalmente aperto il primo locale di una delle catene di ristorazione più diffuse nel mondo: Starbucks.

Ai cordoni di velluto sostano impassibili guardiani, sempre più alti ed enormi, sempre più irraggiungibili nella loro divina atarassia. Inutile sventolare tesserini e accrediti. Non ti degnano di uno sguardo.

Dentro c'è qualcuno, è sicuro, ma chi? Trump? Putin? Chiara Ferragni? Qualcuno, insomma, qualcuno che è qualcuno e non come questi qui fuori, che siamo nessuno, tutti in attesa di un evento che in realtà è in corso: l'evento infatti è proprio questo, sono le transenne, sono gli omoni in nero, siamo noi che ce ne stiamo qui ad aspettare qualcosa, che si aprano le porte, o che esca una star mondiale, o un testimonial, un calciatore, una presentatrice, qualcuno.

Però è anche bello stare qui nel tiepido settembre, perché noi è vero che siamo tutti qui in piazza Cordusio come tanti allocchi ma è anche vero che facciamo tutti parte di un meraviglioso backstage. Tutta Milano si è trasformata in un grande backstage a cerchi concentrici. Che è, poi, ciò a cui la città aspirava da una buona decina d'anni: ridiventare la Milano da Bere senza darlo a intendere. Ma alla fine la sostanza è questa, e allora diciamolo. Siamo di nuovo lì.

Com'è noto, l'inventore di Starbucks si ispirò ai caffè italiani: posti dove ci si siede, si chiacchiera, si legge il giornale, si bene un Cynar. Dovunque io vada, all'estero, trovo Starbucks. Sono posti tutti uguali, e tutti interessanti. Negli Usa sono pieni di giovani statunitensi che parlano, discutono, lavorano al pc. A Pechino sono pieni di giovani pechinesi che parlano, discutono, lavorano al pc. A Londra sono pieni di giovani londinesi che parlano, discutono, lavorano al pc. Adesso ciò che fu creato ispirandosi alla copia è arrivato in Italia, ed ecco la verità vera: la copia è più autentica dell'originale.

Cosa c'è in più, a Milano, in questo Starbucks qui? C'è il teatro. Di sicuro a Pechino tutto questo ambaradan di strade chiuse, transenne, controlli, linee urbane deviate non c'era. Ma qui siamo tutti dietro le quinte, perché finalmente è arrivata, con i suoi camion e la sua vigilanza e i suoi pr, la sola cosa veramente reale che ci possiamo permettere: la Finzione. In Italia è arrivato quello che è stato copiato in Italia! Non è bellissimo? E oggi, sei settembre duemiladiciotto, noi milanesi ci infiliamo nell'interstizio, in quel margine di Realtà in cui lo scenario nuovo non è ancora stato approntato, in cui l'illusione del vero non è ancora stata del tutto allestita. Siamo, insomma, nel backstage, dove i tecnici lavorano per realizzare ciò che gli scenario-planner avevano immaginato.

Ogni azienda che si rispetti ha i suoi problem solvers, i suoi risolutori di problemi. Ma quelle ancora più rispettabili devono avere anche i problem makers, coloro che creano possibili scenari sbagliati così da poterli risolvere prima che i problemi reali si verifichino. Ma oggi il cofano è aperto, il motore è visibile. Siamo privilegiati.

Domani, o forse dopodomani, entrerò anch'io da Starbucks e ordinerò un caffè. Sembra che facciano un buon espresso, ma forse io ordinerò un caffè americano, lungo, nel bicchierone, come quelli che ogni cittadino di New York brandisce mentre, alle sette del mattino, a piedi o in taxi o in bicicletta, si affanna verso il suo lavoro. Io amo Starbucks, che prima o poi diventerà anche a Milano un posto normale e allora anche noi potremo sederci, parlare, discutere, aprire il pc.

Ma non perdiamoci questo intervallo tra due scenari, tra due finzioni, questa uscita, questa pausa-caffè, questa sosta in sala-trucco, bighelloniamo nel backstage, perché qui c'è, quantomeno, un po' di realtà.

Quando il testimonial uscirà (magari non c'è nemmeno, ma che importa?) tornerà «l'inganno consueto», solo in uno scenario un po' diverso, un po' meno Milano-Expo e un po' più Milano-da-bere (ma sono dettagli) nel quale, e questo non è un dettaglio, ci sembrerà naturale ciò che non lo è, e noi perderemo pezzi di vita quotidiana - così bella, accidenti - inseguendo come sempre una particina nel nuovo film.

Commenti