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Pensioni tagliate fino al 15% per chi lascia prima il lavoro

Incontro esecutivo-sindacati: prende forma la misura. L'anticipo garantito dallo Stato da rendere in 20 anni

Pensioni tagliate fino al 15% per chi lascia prima il lavoro

Un anticipo della pensione di tre anni da pagare a rate, con un taglio dell'assegno Inps che può arrivare al 15% e durare 20 anni. Il piano del governo sulla flessibilità inizia a prendere forma. Ieri i sindacati hanno incontrato il sottosegretario alla presidenza Tommaso Nannicini per discutere del merito della proposta che finirà nella legge di Stabilità. L'obiettivo è garantire la possibilità di andare in pensione tre anni prima del requisito della vecchiaia. Lo strumento, ha spiegato l'economista ai rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, è quello del prestito da stipulare con la banca, che dovrà anticipare al neo pensionato l'assegno netto per gli anni che mancano al raggiungimento dell'età del ritiro. La restituzione, come anticipato giorni fa, potrà avvenire in 20 anni attraverso una rata che inciderà sulla pensione e sarà modulata in modo diverso a seconda dei casi. Favoriti i dipendenti che hanno perso il posto per ristrutturazioni aziendali, sfavoriti i lavoratori che scelgono volontariamente di ritirarsi tre anni prima.

In questi casi la penalizzazione potrebbe arrivare fino al 15% dell'importo mensile. In questo caso il lavoratore si paga interamente da solo l'anticipo di tre anni. Per gli altri, sarà possibile detrarre fiscalmente la rata, e quindi la penalizzazione sarà inferiore.

Si tratta di una sperimentazione che il governo intende introdurre gradualmente dal 2017 al 2019 e limitatamente alle classi di lavoratori nati nel 1951-'52. Essendo legata ai requisiti di vecchiaia la proposta è applicabile ai lavoratori dipendenti di 63 anni e sette mesi.

È prevalsa l'esigenza di non compromettere l'equilibrio dei conti pubblici per gli anni a venire. Tanto che il costo stimato dall'esecutivo è praticamente zero. Durante l'incontro Nannicini ha spiegato che la flessibilità in uscita avrebbe un costo di 10 miliardi, ma con la soluzione del governo viene a costare «molto meno di un decimo». Il costo reale è quello relativo alle categorie alle quali viene garantita una rata meno onerosa. Il lavoratore che si ritira volontariamente ha come unico vantaggio di avere un prestito garantito dallo Stato.

Il giudizio dei sindacati è stato prudentemente positivo. È già un risultato che al posto della penalizzazione ci sia un rateo, che sottrae una parte della pensione con la prospettiva di restituirla poi, «ma il confronto continua con un calendario lungo il mese di giugno», ha spiegato il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. «È cambiato il clima, non c'è un'illustrazione da parte del governo, ma un confronto vero», ha commentato Annamaria Furlan, leader della Cisl. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha sottolineato l'esigenza che sia l'Inps (e non le banche) a dare l'anticipo. Il presidente della commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi ha chiesto che il prestito sia una materia da trattare negli «accordi tra imprese e lavoratori anziani in modo che la tutela di quest'ultimi risulti ancor maggiore».

Tra i nodi aperti, quella dei lavoratori pubblici. Il governo sta lavorando a una soluzione che permetta anche agli statali l'anticipo. Costo stimato: 500 milioni di euro. La partita è di politica e consenso.

Non a caso ieri il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, grande sponsor della flessibilità, ha chiesto che il governo concluda il tavolo prima del referendum.

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