Politica

Quando gridarono all'editto bulgaro

Due pesi e due misure: allora si tuonava contro gli editti dei nemici del buon giornalismo d'inchiesta, oggi, togliendo le giuste garanzie, si vogliono mandare in guerra i cronisti d'assalto senza l'elmetto

Quando gridarono all'editto bulgaro

Nessuno ci ha fatto caso, ma sono trascorsi esattamente 15 anni da quando ambienti radical-chic definirono «editto bulgaro» il discorso che Silvio Berlusconi tenne il 18 aprile 2002 nella famosa conferenza-stampa durante la sua visita ufficiale a Sofia. In quell'occasione, l'allora premier aveva denunciato l'uso definito «criminoso» della tv di Stato da parte di alcuni giornalisti come Enzo Biagi e Michele Santoro, oltre al comico Daniele Luttazzi: tutti e tre, disse, si erano mossi a senso unico contro il governo di centrodestra allora in carica. Apriti cielo! Ci fu una levata di scudi della sinistra, al grido di «salviamo la libertà di stampa», e l'Unità parlò, addirittura, di «diktat bulgaro». Sono passati tre lustri da quella specie di sollevazione contro Berlusconi, reo di colpire la libera informazione in Rai, e oggi assistiamo a un fatto paradossale: proprio coloro che allora avevano gridato all'untore rappresentato dal Cavaliere, sono praticamente gli stessi che oggi accusano Report, non più curato da Milena Gabanelli, di essere una trasmissione pericolosa. Tutto perché nell'ultima puntata, lunedì scorso, il programma di Rai3 ha raccontato del salvataggio, guarda caso, dell'Unità da parte di Massimo Pessina e dei presunti vantaggi che l'imprenditore avrebbe avuto grazie ai suoi rapporti con Renzi già premier nel 2014. Più che un editto bulgaro, le dichiarazioni del Matteo fiorentino, che considera una «pura follia» l'inchiesta giornalistica appena andata in onda, con possibili risvolti legali, potrebbero anche sembrare un «ukaz» brezneviano, alla faccia di quella libertà di stampa che, oggi più che mai, pare essere sempre a senso unico e cioè ossequiosa verso coloro che sono al potere. Se, l'anno scorso, Bianca Berlinguer venne allontanata dalla direzione di Rai3 perché era stata giudicata poco allineata, cosa succederà adesso? Non è un caso che il dg di viale Mazzini, Antonio Campo dell'Orto, si sia nuovamente trovato al centro delle polemiche, una vera e propria escalation, tanto che qualche giornale parla già di un prossimo avvicendamento al vertice. Se, come consigliere d'amministrazione della televisione di Stato, ho criticato spesso aspramente la gestione dell'attuale dg, stavolta non mi trovo d'accordo con questi ultimi polveroni sulla sua testa: il moltiplicarsi di questi giorni delle accuse contro di lui mi sembra, infatti, piuttosto sospetto. Così come è singolare il fatto che certi onorevoli vicini a Renzi mettano oggi in discussione la «manleva» stessa, cioè quel parafulmine in grado di proteggere gli autori di un programma dalle conseguenze legali sul piano economico. Questi parlamentari, politicamente parlando, sono i figli di coloro che, 15 anni fa, tuonavano in difesa della libertà di stampa minacciata da quel «bulgaro» residente ad Arcore.

Due pesi e due misure: allora si tuonava contro gli editti dei nemici del buon giornalismo d'inchiesta, oggi, togliendo le giuste garanzie, si vogliono mandare in guerra i cronisti d'assalto senza l'elmetto, come ha mestamente rilevato Sigfrido Ranucci, il successore della Gabanelli alla guida di Report.

Quasi, quasi vado in Bulgaria.

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