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Quei 9 martiri morti per difendere la nostra fede

Quei 9 martiri morti per  difendere la nostra fede

Nove ragazzi intorno ai diciotto anni sono morti perché hanno confessato di essere cristiani. Il pazzo li ha messi sdraiati a terra, nella loro classe, in un buco di paese dell'Oregon, e poi li ha fatti alzare ad uno ad uno. «Di che religione sei?» Se uno rispondeva di credere in Cristo, un colpo al petto. E una frase beffarda che suonava così: «Andrai presto a incontrare il Padre che sta nei cieli». Chi invece negava o diceva altro, se la sfangava, da ferito, ma vivo.

Perché in quei nove, più forte dell'istinto di sopravvivenza, ha prevalso questa decisione? Tutti avrebbero giustificato una bugia detta a uno squilibrato con quattro pistole? Forse che siano più folli e squilibrati loro, di quell'assassino dalla mente devastata? Forse. Però grazie a loro, Roseburg non è solo la cittadina che ha vissuto una strage assurda e bestiale, ma anche il luogo immortale dove qualcuno ha accettato di dire la verità su di sé, coraggiosamente, fino a morirne.

È una speranza per l'Occidente. Il coraggio dei cristiani non si è fermato a Oriente. Non parla solo aramaico o siriaco, ma inglese, spagnolo, anzi – moralmente - latino, pur se è improbabile che in quella università di scarso prestigio, destinata al ceto medio-basso, ci fosse qualcuno che l'avesse mai sentito. Non so se sia conforme ai canoni, ma il Papa dovrebbe iscriverli in fretta nell'elenco dei martiri. Non importa che a ucciderli sia stato un folle: loro in quell'istante avevano davanti la strada sicura della tomba e ce n'era un'altra che forse li avrebbe preservati. Non sappiamo perché, non conosciamo quale magnifico senso di libertà e di orgoglio sia scattato in quei figli del nostro Occidente scalcinato e nichilista, ma hanno scelto di dire la verità, e sono morti.

Capitò lo stesso agli operai copti sgozzati sulle rive del Mediterraneo, sulla battigia di Sirte, in Libia. Quei ventuno egiziani cristiani, rapiti il 1° gennaio scorso, furono messi in ginocchio davanti al mare, con lo sguardo rivolto all'Europa indifferente. Furono sgozzati mentre dicevano: «Io credo, Signore, Padre nostro...». La Chiesa copta ortodossa li ha proclamati beati, e ha dedicato alla memoria di ciascuno una cappella, un oratorio, un altare. Non abbiamo notizia, e non ci interessa, se tra i ragazzi cristiani assassinati a sangue freddo in quella scuola ci fossero cattolici, o evangelici, o battisti o mormoni. Non perché conti poco, ma perché adesso non conta niente. Esiste – come disse proprio Papa Francesco – un ecumenismo del sangue. E qui c'è qualcosa di orrendo, causato certo dall'infezione della predicazione dell'odio anticristiano in una mente fragilissima, ma mescolato all'orrore splende ed è più forte la luce di quei nove, una scintilla di libertà, di coraggio, di fede.

Finché siamo disposti a morire per qualcosa che ci è caro, è possibile con dignità.

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