Ponte crollato a Genova

"Tecniche e materiali superati. Nuovi ponti? Nessun progetto"

Il docente del Politecnico di Milano Pier Giorgio Malerba: manca un piano per l'ammodernamento della rete. E servono molti soldi

"Tecniche e materiali superati. Nuovi ponti? Nessun progetto"

Professore di Bridge theory and design del Politecnico di Milano, vicepresidente dell'Associazione internazionale per la manutenzione e la salvaguardia dei ponti (IAMBAS), ora è uno dei tecnici incaricati di studiare per la magistratura il crollo di Genova. Pier Giorgio Malerba parla con il Giornale della situazione della rete italiana.

Professore cosa pensa della discussione aperta da tempo sulle condizioni del ponte Morandi?

«Prima di tutto mi colpisce la tragedia, ma sappiamo che la rete infrastrutturale ha gli anni che ha, i difetti più comuni sono noti e il problema è diffuso e piuttosto grave, ma parlare nello specifico ora mi sembra prematuro: in linea generale bisogna tenere conto del periodo in cui è stato costruito il Morandi di Genova, è stato tra il 1960 e il 1964 e inaugurato nel 1967, un periodo in cui c'era una grandissima fiducia sulle caratteristiche dei (relativamente) nuovi materiali in acciaio da usare per il precompresso del cui utilizzo Morandi era un maestro».

Quali sono i difetti o gli elementi cambiati nella costruzione dei ponti?

«Dopo mezzo secolo le cose sono cambiate, con la scoperta di una seria di problemi, ma il senno di poi è l'unica scienza esatta. Adesso ad esempio si mettono molti stralli, cioè i tiranti, anche perché se uno avesse delle difettosità, cedesse o si tranciasse si ha un meccanismo di redistribuzione sugli altri che permette di evitare il collasso rovinoso; un'altra, sempre dal punto di vista accademico, è lo schema di realizzazione dei tiranti: oggi sono composti di fili e trefoli d'acciaio, mentre all'epoca per i ponti come il Morandi si sono utilizzati dei prismi di calcestruzzo, ma poi si è scoperto che il calcestruzzo risente molto ad esempio degli effetti dell'anidride carbonica che in questi anni ha avuto gli aumenti che sappiamo in atmosfera; infine gli stralli ormai vengono raramente fatti a scavalco sulle antenne».

Ma se oggi si conoscono le tecniche per costruire meglio perché non lo si fa?

«Quando si chiedono i fondi il piatto piange, per noi come università è sempre di interesse studiare i vari casi, ma piange il cuore non riuscire a programmare un intervento sistematico».

Quanto potrebbe costare rimodernare tutta la rete dei ponti italiani?

«Il valore di un ponte non è il costo del ponte in sé, ma nella funzione che svolge ai fini dei traffici. Se escludiamo i ponticelli secondari, ci sono strutture la cui chiusura per sei mesi può essere superiore di più del ponte stesso. Quindi se bisogna fare dei ragionamenti economici si deve pensare a quanto sto perdendo tenendoli chiusi in termini di detour, cioè la deviazione dei traffici su altre maglie della rete».

Si è parlato molto anche della questione manutenzione, che rilevanza può avere nel conteggio delle spese?

«Non è importante quanto mi costa un ponte quando si taglia il nastro, ma quanto mi sarà costata globalmente dopo cento anni di esercizio tenendo conto di tutte le voci comprese le manutenzioni che comunque devono essere fatte come i giunti in gomma e gli appoggi, perché quelli periodicamente vanno controllati e sostituiti: se un'opera mi costa niente oggi, ma ogni cinque anni devo spendere cifre sproporzionate per mantenerla in sicurezza, allora è una perdita piena, se invece viene costruita con tutti i crismi fin dall'inizio mi permetterà anche di dilazionare le manutenzioni necessarie».

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