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Veleni sulle primarie del Pd Verdini: io decisivo a Napoli

Bassolino sconfitto per 452 voti. Il leader Ala: grazie ai nostri 700. La fronda attacca sul crollo dell'affluenza a Roma. Orfini: "Non c'erano le truppe dei capibastone"

Veleni sulle primarie del Pd Verdini: io decisivo a Napoli

Che le primarie non riescano a pacificare il Pd è cosa piuttosto evidente già domenica sera, solo pochi minuti dopo la chiusura dei seggi. Nonostante la vittoria dei candidati renziani sia a Roma che a Napoli, il dibattito interno al partito si concentra infatti sul deciso crollo dell'affluenza, nella Capitale praticamente dimezzata se votano in 47.317 contro gli oltre 100mila che nel 2013 benedirono la corsa a sindaco di Ignazio Marino. È intorno a questo dato che si scatena una vera e propria guerra tra la minoranza dem e i vertici del partito, un braccio di ferro andato avanti tutto ieri e favorito anche da un obiettivo scivolone del presidente del Pd Matteo Orfini, secondo cui il calo dell'affluenza sarebbe dovuto al fatto che non hanno votato «le truppe cammellate dei capibastone poi arrestati» nell'ambito dell'inchiesta Mafia Capitale. Un ragionamento che implicitamente bolla come contigui alla criminalità la metà di quelli che meno di tre anni fa erano militanti del Pd, rischiando di gettare un'ombra sulla regolarità di quelle primarie che - a dire di Orfini - sarebbero state condizionate da Buzzi e Carminati.

Il punto, però, è anche un altro. E resta sottotraccia in attesa dei dati definitivi sull'affluenza, quelli con cui si potrà delineare un quadro complessivo del voto. Se a Roma la vittoria di Roberto Giachetti è stata infatti netta, a Napoli la partita si è giocata sul filo di lana. E il successo di Valeria Valente su Antonio Bassolino sta tutto in sole 452 schede di differenza. Un'inezia. Che rischia di diventare motivo di ulteriore frizione se dovessero trovare conferma i rumors che raccontano di un Denis Verdini molto attivo nelle primarie, soprattutto quelle partenopee. Che l'ex braccio destro di Silvio Berlusconi potesse avere un ruolo nelle consultazioni lo aveva ipotizzato qualche giorno fa Repubblica e la replica di Orfini era stata netta: «Le nostre primarie sono off limits per chi non è di centrosinistra». E invece ieri era lo stesso Verdini a raccontare in privato e a più di un interlocutore di essersi messo in moto e aver portato ai seggi del Pd un cospicuo numero di elettori, quantificato dall'ex coordinatore del Pdl in «circa 700». Tutti o quasi sollecitati dalla folta componente campana del gruppo Ala del Senato (a partire da Vincenzo D'Anna, passando per Ciro Falanga, Eva Longo, Domenico Auricchio e Pietro Langella). Così fosse, è evidente che il soccorso di Verdini sarebbe stato determinante. Con buona pace di Bassolino.Anche per questo, dunque, il clima in casa Pd resta piuttosto teso. Non è un caso che ieri le due pagine dattiloscritte della Velina Rossa di Pasquale Laurito - memoria storica del giornalismo parlamentare e da sempre in sintonia con Massimo D'Alema - non escludessero smottamenti sia a Napoli che a Roma.

Nel primo caso perché «alla sinistra di Bassolino» potrebbe nascere «una vera scissione con la presentazione di una lista alleata di de Magistris». Nel secondo perché nella Capitale «non è escluso che nasca una lista capeggiata da Bray», una formazione che «non ha intenzione di allearsi con il Pd». Smottamenti antirenziani.Concluse le primarie, insomma, la guerra nel Pd è lontana dall'essere conclusa. Tanto che in vista dell'imminente convention di Perugia Roberto Speranza prende di mira proprio Matteo Renzi e il suo doppio ruolo di premier e segretario del Pd.

Che, dice, «non sta funzionando»: «Sul territorio il partito rischia di diventare un insieme di comitati elettorali e lasciare le porte spalancate al trasformismo».

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