Cultura e Spettacoli

Furbo e affascinante Clooney solletica la rabbia d'America

«Suburbicon» è una commedia nera e impegnata. Ma anche un grande show

Furbo e affascinante Clooney solletica la rabbia d'America

dal nostro inviato a Venezia

Cinema scintillante, glamour, applausi in sala e ovazioni fuori, una spruzzata di politica per indorare il film e un tappeto rosso infinito che porterà dritto dritto a un ricco botteghino, c'è da scommetterci. La scommessa, intanto, l'ha vinta la Mostra del cinema di Venezia, portandosi a casa un film che mediaticamente pesa oro, e cinematograficamente almeno l'argento.

Welcome in Suburbicon, che è il titolo del film diretto da George Clooney passato ieri in concorso al Lido, e anche il nome della cittadina al centro della storia, una black comedy (a volte un po' prevedibile, una scena o due prima sai già cosa succederà poco dopo, ma divertente e comunque recitata in modo impeccabile da Matt Damon e Julianne Moore, più una particina irresistibile di Oscar Isaac) che, parlando dell'America della segregazione razziale di ieri, come sempre accade in casi simili, pensa ai muri e ai suprematisti bianchi di oggi. Sperando (il finale ovviamente è consolatorio) in un mondo migliore, domani. «Quando abbiamo iniziato a girare il film gli scontri di Charlottesville dovevano ancora arrivare, ma c'erano già stati certi proclami di Donald Trump, e del resto ci sono problemi che non passano mai di moda...», dice Clooney a favore di giornalisti appagati e di applausi corretti. E in effetti la sceneggiatura del film parte da un vecchio copione dei fratelli Coen, addirittura risalente agli anni Ottanta, rimasto a lungo nel cassetto e ripreso in mano l'anno scorso insieme, appunto, da Clooney e dal suo socio-sceneggiatore Grant Heslov: «Mi è sembrato il momento giusto per parlare di minoranze che fanno da capro espiatorio - ha spiegato il regista più affascinante e forse più furbo di Hollywood - anche se all'interno di un thriller insolito».

Più commedia che thriller, più mostruoso che grottesco (per il genere di scrittura dei fratelli Coen), e ancora più impegnato a riflettere sulle contraddizioni dell'America (per gli standard politici di Clooney, che qualcuno qui al Lido ha salutato scherzosamente come futuro candidato alla Presidenza degli Stati Uniti...), Suburbicon gioca su due cerchi concentrici, che a loro volta ruotano attorno al sogno Americano - siamo nella calda estate del 1959 - che al cinema e in letteratura, chissà perché, è sempre un incubo. In quello esterno c'è una cittadina ideale, tutta middle class e pelle bianca, incattivita dall'acquisto di una villetta, è la prima volta che accade!, fatto dai Meyers, padre, madre e figlio, gentilissimi ma purtroppo neri... E in quello interno c'è la famiglia dei Lodge, il padre Matt Damon, due sorelle gemelle (moglie e cognata, interpretate da Julianne Moore, con risparmio di budget ma abbondanza di bravura e bellezza) e un figlio (Noah Jupe, una rivelazione), l'unico amico del negretto. E non c'è luogo migliore di una comunità apparentemente modello e di una famiglia pubblicamente perfetta perché esploda un dramma sanguinosissimo (ma siamo sempre nell'ambito commedia nera), fra tradimenti, inganni e follia razzista. Il crollo delle icone. Mariti a prima vista razionali, killer che si rivelano balordi, cittadini sicuri di essere sempre dalla parte del giusto: tutti, di fronte a due scelte possibili, finiscono per imboccare quella sbagliata. Si chiama cinema.

Il cinema che sta passando dal Lido in questi giorni è mediamente ottimo, non c'è che dire. Il Times di Londra due giorni fa ha gratificato la Mostra di un'intera paginata, umiliante per Cannes. Titolo: «It's Oscar time in Venice». E George Clooney con la sua coppia di attori superstar Damon-Moore (ieri, chiccosissimi, hanno scolorito tutti i red carpet precedenti) ci ha messo del suo. Come ci ha messo del suo, e di più, come sempre, sul tappeto rosso con la sua bellissima Amal.

Certo, il contorno a volte è stucchevole: perché lamentarsi sempre dell'America «che non è mai stata così arrabbiata» e del ceto medio che non è mai stato così povero, dalla terrazza di un grand hotel? Sì, è stucchevole. Però, al netto della predica politica (Damon ha anche detto che chiunque, anche Clooney, è meglio di Trump come Presidente, mentre la Moore fa sapere che sta cercando di cambiare il nome del suo vecchio liceo intitolato a un generale confederato...), Suburbicon è, se non un grande film, un grande evento.

Per l'arte c'è sempre tempo, lo show intanto può continuare.

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