Cultura e Spettacoli

Il genio di Foster Wallace non si può vendere a tranci

La nuova raccolta Einaudi dedicata allo scrittore Usa smembra i suoi romanzi. Leggerlo così non ha senso

Il genio di Foster Wallace non si può vendere a tranci

Ci sono scrittori le cui opere vanno lette per intero, oppure meglio lasciar perdere. Per esempio L'uomo senza qualità di Robert Musil, o L'Ulisse di Joyce, o Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. E non solo lette, ma rilette, e poi studiate. Impossibile darli in pillole, tantomeno smembrarli, come si è tentato più volte di fare proprio con Proust proponendo Un amore di Swann come libro a sé (tant'è che molti spesso conoscono solo quello), o con Joyce isolando il monologo di Molly Bloom.

È quanto, in sostanza, sostiene anche Stefano Bartezzaghi in uno splendido saggio su David Foster Wallace: autore complesso, dalle strutture monumentali, ossessionato dall'editing e dall'integrità della sue opere. Niente da eccepire, se non lo dicesse all'inizio di un volume intitolato David Foster Wallace Portatile (Einaudi). Portatile? A parte che portatile un tubo, sono settecento pagine. Il titolo giusto però sarebbe stato Come uccidere David Foster Wallace da morto, oppure David Foster Wallace a tranci, un tanto all'etto, oppure David Foster Wallace se proprio non avete voglia di leggerlo. Prendete Infinite Jest: come lo si può fare a pezzettini, togliendo tutto il fascino, la potenza, l'architettura del romanzo? Prendete il primo romanzo, La scopa del sistema: si passa dal primo capitolo al quinto, dal quinto all'undicesimo, a Wallace si drizzerebbero i capelli sotto la bandana. Prendete l'ultimo romanzo incompiuto, Il re nudo: come potete dare subito la parte dove Wallace parla in prima persona e svela il senso dell'opera (la noia), che nel romanzo viene dopo cento pagine? Senza cioè annoiarsi prima? «Il re pallido» scrive qui Wallace «è fondamentalmente un libro di memorie non inventato, con in più gli elementi del giornalismo ricostruttivo, della psicologia organizzativa, dei rudimenti di educazione civica e teoria tributaria». Affermazione da non prendere alla lettera, ma anche sì: è questa la bellezza di Wallace, non sai mai esattamente cosa stai leggendo, ribalta la stessa metafiction in una metà-fiction che vuole essere vera per intero. E pensare che l'incubo kafkiano del romanzo è l'Agenzia delle Entrate americana, mi chiedo cosa avrebbe scritto se avesse conosciuto quella italiana.

Il paravento paraculo del volume sarebbe quello di farne un'edizione antologica per le scuole, o per chi non ha ancora letto Wallace e vuole iniziare, o per chi l'ha già letto e vuole rileggerne dei brani. In realtà nelle scuole sconsiglierei di leggere un autore in questo modo, chi non l'ha letto così non leggerà mai, e chi già lo conosce pensa: ma che cavolo state facendo? Vada per i racconti, (sebbene in musica sarebbe come prendere i brani di un concept album e frullarli con altri brani di altri album) e per i saggi, sarebbe stato meglio limitarsi a quelli.

Quindi, chi non l'avesse mai letto, strappi i romanzi dal volume, facendolo diventare ancora più portatile, e si tenga saggi e racconti. Che rendono l'idea delle ossessioni di uno tra gli scrittori più prolifici e anomali degli anni Novanta. Lontano dal post-minimalismo degli scrittori della sua generazione (e attaccato per questo da Bret Easton Ellis), Wallace è più vicino a Pynchon, almeno inizialmente, ma subito si defila anche dal postmodernismo. Spesso giocava con la metanarrazione ma in un modo tutto suo, odiando «l'astuto titillamento metanarrativo».

Analizza la televisione meglio di qualsiasi massmediologo, senza prendere posizioni moralistiche e neppure assolutorie, perché «la raison d'être della televisione è riflettere ciò che la gente desidera vedere», per cui le cose si fanno molto complicate. Prendendo di mira anche i critici: «C'è una ragione per cui la critica televisiva sembra così futile. La televisione è riuscita a diventare la più efficiente analista di se stessa». Scrive un racconto intitolato La persona depressa e descrive come nessun altro cosa significa la depressione (di cui lui stesso soffriva, e che lo portò alla morte). Ti incanta con la sua passione per il tennis e quella per la matematica, mettendole insieme (anche il tennis è matematica, come sanno i lettori di Infinite Jest e di Tennis, tv, trigonometria, tornado), e è capace di fare reportage su qualsiasi cosa, da una crociera divertente che non farà mai più (non inclusa nella raccolta, chissà perché) al Festival dell'aragosta del Maine, dove diventa difensore delle aragoste usando tutti gli strumenti scientifici a disposizione per provare che un'aragosta, bollita viva, soffre. Identifica infine il male dei nostri tempi: l'ironia. Grazie all'ironia, qualsiasi posizione è diventata incriticabile, e è impossibile parlare di qualcosa seriamente. «Più probabilmente l'ironia di oggi finisce col dire: Oddio come sei banale a chiedermi cosa voglio dire davvero».

Alla fine di questo Wallace portatile c'è una manciatina di inediti, scambi epistolari tra Wallace e la mamma sui suoi corsi di scrittura creativa e dubbi grammaticali, che servono giusto come alibi per giustificare un'edizione inutile. D'altra parte, l'unico inedito che vorremmo morbosamente leggere è l'ultima lettera scritta da Wallace alla moglie, prima di suicidarsi, che probabilmente non leggeremo mai, o non finché lei sarà in vita.

Di portatili, in ogni caso, compratevi solo i computer.

Commenti