Cronache

Milano smonta l'ipocrisia dei fanatici pro scafisti

Un corteo fatto di slogan retorici e di demagogia. Ma resta il problema chiave della città: la sicurezza

Milano smonta l'ipocrisia dei fanatici pro scafisti

Applausi e like. La solidarietà. Il buonismo. La mano nella mano dei migranti e dei clandestini. Ma anche la rabbia, l'indignazione, lo sconcerto. E la preoccupazione per una città che va alla deriva. Il popolo di Facebook si spacca. Sulle pagine di Beppe Sala, Moni Ovadia, Gad Lerner atterrano come dischi volanti da un altro mondo commenti controcorrente, carichi di angoscia, talvolta oltre il limite della decenza. Certo, c'è stata la grande manifestazione corale, i centomila contro i muri, le trombe e le fanfare dell'accoglienza. Ma il respiro profondo della metropoli irrompe dalle bacheche dei social, graffia, ribalta i luoghi comuni, ammonisce. Restituisce l'altra faccia di Milano, quella che sa vedere oltre le emozioni, le note di Bella ciao, i pugni chiusi dei centri sociali.

Sulle pagine del sindaco, alla testa del corteo con fascia tricolore e mamma ottantaseienne al seguito, Giuseppe va giù duro: «Vergogna. Beppe Sala come Pisapia. Complici della distruzione di una città bella come Milano. Sicurezza ma dove?». Potrebbe bastare, ma il cittadino ricorda quel che è accaduto in stazione alla vigilia dell'happening: «La gente viene accoltellata in Stazione centrale dove la sicurezza dovrebbe essere la priorità, dato l'elevato numero di delinquenti».

Chiara è altrettanto diretta. E scaglia il suo messaggio come una freccia: «Ma si finisca di dire fesserie. Ciò che serve non solo per Milano ma per l'Italia sono sicurezza, legalità, supporto continuo e reale per i tanti italiani onesti che non hanno, a ragione, più fiducia nella politica e nelle istituzioni».

Abbracci ma anche schiaffi. Una città capitale che si guarda allo specchio e si scopre fragile, indifesa, deformata da una piena senza limiti. Fra disperati. Sbandati. Tossici. Fantasmi senza nome né professione. Alessandro, ancora rivolto a Sala con parole che schiumano, chiare anche se disancorate dalla sintassi: «Ridicolo. Essere solidali non significa solo accoglienza, i muri li tiri su meglio dei muratori bergamaschi a partire dal loro inserimento nel tessuto sociale».

Tutti vorrebbero i ponti. Il ritmo della città scivola in un grande imbuto che tutto annulla e confonde; cosi scatta il sarcasmo: le barriere cadono ma solo a parole, perché i mattoni vengono su sempre più alti. Fra criminalità. Degrado. Rischio del terrorismo.

La fiaba funziona se si chiudono gli occhi, ma il lieto fine non c'è. Non dappertutto: «Ci dica dove abita - ribatte a Gad Lerner Emanuele - scommetto che è circondato da telecamere e presidiato da controlli. Il solito che parte bene ma razzola male». Duro, ruvido come cartavetrata Giancarlo che sogna Vienna: «Per fortuna quando passo in treno la polizia austriaca fa sorveglianza armata. Sia benedetta l'Austria». Che ha ancora il formato di una cartolina.

Davide è più modesto. In mano il metro infallibile del buonsenso: «Sveglia. Non possiamo ospitare tutta l'Africa».

Per carità, sono in tanti a inneggiare alla giornata di sabato: una pagina di civiltà dai sentimenti alti. Note festose, quasi celebrative che ritornano nei commenti di alcuni giornali, soprattutto Repubblica, vetrina storica della sinistra snob. Una grande firma come Piero Colaprico compone un reportage dai toni squillanti: «Siamo tutti migranti».

E però dalle finestre di Facebook, che non sono davanzali affacciati sull'Eden, arrivano le voci contro. Come quella di Cristiano che risponde a Moni Ovadia, altra icona del pantheon rosso: «Facile fare i generosi con i portafogli degli altri. Voi ormai siete nella bambagia del benessere». Un giudizio che diventa la foto di una certa gauche, sempre schierata dalla parte degli ultimi e sempre prima quando si tratta di tutelare i propri interessi. «Dovreste difendere gli italiani in difficoltà», chiude Cristiano.

E invece tanti connazionali non si sono mai sentiti cosi soli e abbandonati come sabato.

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