Cultura e Spettacoli

Ecco Lena Dunham, il pensiero forte delle ragazze fragili

«Ho cominciato a quattro anni» sbuffava Sailor-Nicholas Cage in Cuore selvaggio parlando del vizio del fumo. «Sono in terapia da quando avevo sette anni», ribatte Lena Dunham in Not That Kind of Girl. A Young Woman Tells You What She's Learned, il memoir della ventiseienne attrice, regista, sceneggiatrice di Girls, la serie HBO più esplosiva dell'ultimo lustro, appena ripartita con la seconda stagione il 13 gennaio. Per la firma di Lena in copertina, Random House ha staccato alla fine del 2012 un assegno da 3,7 milioni di dollari, anticipo su cui persino una firma come quella di Joyce Carols Oates si è spesa con un pezzo motivazionale.
Chi non abbia visto almeno una puntata di Girls e non abbia mai fissato l'accoppiata occhietti-guanciotte di questa novella Woody Allen, troppo furba per sentirsi intellighenzia e troppo spietatamente sincera - almeno nella serie - per sentirsi davvero sexy, non riesce forse a comprendere come onori e fama, e tanto denaro, siano arrivati a fiumi per la Dunham in un solo anno. La verità è che finalmente la generazione Ottanta, o «floating generation» come la chiamano negli Stati Uniti, ha trovato la propria voce. Quelle di Sex and The City hanno passato i quaranta da un pezzo, le galline della chick-lit di Kinsella e socie anche: alle ragazze di oggi (la Dunham è nata nel 1986 a New York, figlia di due artisti di Manhattan, Laurie Simmons e Carroll Dunham), «anche troppo formate per il lavoro che troveranno, se lo troveranno» come scrive la Oates, serviva un modello: abbastanza cinico da essere credibile, abbastanza disperato da pensare «Ehi, quella non sono io, ma somiglia un sacco alla mia migliore amica».
Ecco perché un libro in cui la fanciulla rivela da dove viene, dove va e i suoi parametri esistenziali per quel che interessa alle cattive ragazze (quelle che vanno dappertutto) ovvero dieta, amore, sesso, viaggi, lavoro e rapporti - insomma, guerre - con mamme, amiche, sorelle praticamente non ha prezzo e sembra destinato a diventare il nuovo diario di Bridget Jones. Nella intro al libro, confessa che il suo guru è Helen Gurley Brown, la leggendaria direttrice di Cosmopolitan morta novantenne lo scorso anno, il che farebbe ben sperare sui contenuti. Ma se le anticipazioni non mentono, un quinto del volume sarà composto dalla riproduzione del diario alimentare 2010 di Lena e un capitolo ancora da scrivere sarà destinato alla selezione di email con cui ha terrorizzato gli uomini.
«Sono andata alla mia prima riunione della Women's Action Coalition (organizzazione femminista americana) a tre anni»; «Quando avevo più o meno nove anni ho sviluppato la terribile paura di essere anoressica» e sempre più o meno a nove anni - età cardine nello sviluppo femminile della Dunham, alla faccia di Freud - «ho fatto voto di celibato... avevo appena saputo che mia madre aveva aspettato fino all'estate dopo il diploma». «A ventiquattro mi sentivo una vecchia pazza»; «Quando sono entrata al college mi sono immediatamente resa conto che la mia educazione non era stata molto realistica»; «Una volta sono stata a un party vegano che poi è stato recensito nella sezione “Style” del New York Times»; «Ogni ghiacciolo che ho mangiato, ogni film che ho visto, ogni poesia che ho scritto era tinto dell'angosciante colore della perdita». Sono alcune delle citazioni che Gawker ha messo online un mese fa insieme a 64 pagine di quello che dovrebbe essere il libro dell'anno. Random House si è affrettata a far causa al sito, che ha rimosso le pagine ma ha lasciato le citazioni e i commenti, oltre alla richiesta dell'avvocato della Dunham di cancellare tutto quanto.
Ma come ha fatto una diplomata alla prestigiosa Saint Ann's School di Brooklyn e laureata in scrittura creativa all'Oberlin College a beccarsi quattro nomination agli Emmy e a inaugurare la serata di premiazione seduta su un wc intenta a mangiare una torta per dimenticare, forse, di non averne poi vinto nemmeno uno? Al di là del fatto che la torta sia indicativa soprattutto della sua confessata (sempre nel memoir milionario) F.U.P.A. (fat upper pussy area) ovvero «pancetta», non è banale ricordare che la nostra quasi nativa digitale ha cominciato come star di Twitter, con quasi un milione di follower. Creatasi uno zoccolo duro di fan, nel 2010 ha scritto, diretto, interpretato - e ingaggiato, tra i protagonisti, sua madre - Tiny Furniture, il film indipendente che le ha dato la spinta «comicommovente» per entrare nel firmamento ormai più redditizio, quello delle serie tv. E siccome non sbaglia praticamente un colpo, ha investito sul cavallo vincente anche alle ultime elezioni: «La prima volta non dovrebbe essere con uno qualsiasi», recitava il suo spot pro-Obama, equiparando due decisioni importanti, ma senz'altro molto diverse, come la perdita delle verginità e il debutto alle urne. I conservatori si sono sentiti offesi.

E la «cattiva ragazza» Dunham come al solito si è divertita un sacco.

Commenti