Cronache

«Silenzio colpevole sui criminali di guerra italiani»

«Silenzio colpevole sui criminali di guerra italiani»

Come appassionato di studi storici ed ex rappresentante nel campo dell'editoria, infine come uomo politico, penso che vada meglio chiarita la decisione del Tribunale internazionale dell'Aja che blocca gli indennizzi richiesti dai Tribunali italiani per le vittime dei crimini nazisti, in questo caso quello di Civitella, dove furono passati per le armi 203 civili per ritorsione contro l'uccisione di tre soldati tedeschi.
Conoscendo a fondo la storia italiana e i nostri lager in Cirenaica (Libia - 1930/1934), l'uso di armi proibite dalla Convenzione di Ginevra nel 1935, con i micidiali gas tossici, come le 1000 tonnellate di bombe per l'aeronautica (caricate a iprite) e le 60.000 granate per l'artiglieria (caricate ad arsine) che dispensarono la morte a migliaia di civili etiopi; i lager nei Balcani, come quello di Rab, nel quale il tasso di mortalità degli sloveni era del 19 per cento, ossia da campo di sterminio, e superava persino quello registrato nel lager nazista di Buchenwald, che era del 15 per cento.
Risulta da molti anni chiarissimo alla mia commossa coscienza che i misfatti che furono compiuti, per quanto riguarda il fronte nazifascista, e l'impero del Sol Levante, o vengono comparati tra loro, oppure, per destare le nostre anime morte dalla ipocrita e vigliacca autorappresentazione del «bono italiano», chiacchierone e simpatico, non possiamo concepire che, prima e durante la seconda guerra mondiale, la nostra pelle e le nostre terribili sofferenze siano state diverse da quelle provate dai popoli bonificati etnicamente o sterminati dal triste primato morale e ideologico del fascismo italiano.
È l'ora, cari amici liberi e forti, di aprire gli armadi della nostra vergogna e quindi di considerare inopportuna la richiesta di indennizzi che continuiamo a chiedere, - a distanza di 60 anni! -, ad un paese, la Germania, di cui fummo alleati per le stringenti affinità politiche dell'epoca (basti ricordare l'asse Roma-Berlino), alleati nei giorni della vittoria e traditori non appena fu chiaro che le sorti della guerra, con l'entrata in campo del gigante americano, si stessero ribaltando (8 settembre 1943).
La storia dei silenzi colpevoli e delle acrobazie dialettiche compiute per sottrarsi all'obbligo di consegnare i criminali italiani richiesti non fa onore neppure ad Alcide De Gasperi ed ai suoi illuminati governi.
Nel luglio 1945, conclusa la guerra, erano gli stessi Alleati a inoltrare al governo di Roma le liste dei presunti criminali di guerra consegnate da vari paesi (Iugoslavia, Grecia, Albania, Etiopia, Gran Bretagna, Francia, ecc.) alla Commissione delle Nazioni Unite.
I militari e i civili italiani ritenuti responsabili dei peggiori crimini di guerra erano, soltanto in Iugoslavia 729, ed il numero degli ufficiali italiani che si erano resi responsabili di crimini di guerra fino al luglio 1943, comprendeva, secondo le liste degli Alleati, un numero maggiore di camicie nere rispetto agli stessi ufficiali dell'esercito e delle SS tedesche.
Nonostante l'incredibile numero di massacri italiani compiuti soprattutto in Libia, Etiopia ed Iugoslavia (tanto che l'Italia fu l'unico paese espulso nel 1935 dalla Società delle Nazioni), l'Italia, per almeno tre anni, non rispondeva alle ripetute richieste e pressioni adottando un'ambigua strategia tesa soltanto a prendere tempo. Soltanto nell'aprile 1946, allorché era emersa la minaccia che sarebbero stati i cobelligeranti alleati ad arrestare direttamente i criminali di guerra italiani, il Presidente del Consiglio De Gasperi annunciava la costituzione di una Commissione d'inchiesta, i cui lavori lentissimi si concludevano nel 1949.
Ma, pur essendo stati deferiti alla Procura Militare 39 presunti criminali di guerra, i processi non ebbero mai luogo e nel 1951, ricorrendo ad un cavillo giuridico, la magistratura militare archiviava tutte le istruttorie e la Commissione veniva sciolta. Sfumava così la possibilità di realizzare una «Norimberga italiana», che appurasse la lunga serie di delitti commessi dagli italiani nelle colonie e nei Balcani.
Non soltanto Roma si rifiutava di consegnare gli ufficiali sulla cui colpevolezza non esistevano dubbi, ma in qualche caso, li aveva addirittura promossi. Si veda, per esempio, l'inarrestabile carriera del gen. Orlando, ben noto in Slovenia per aver comandato la XXI Divisione Granatieri di Sardegna, che si era particolarmente distinta per la ferocia nei rastrellamenti dell'estate 1942.


Il potente effetto assolutorio di Auschwitz nei confronti di tutti gli altri internamenti non può più provocare una vera e propria rimozione culturale e psicologica sulle efferatezze, gli eccidi e le deportazioni di intere popolazioni perpetrate dall'esercito italiano.

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