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Cgia: dallo Stato 7,6 miliardi a Fiat

Negli anni l'Italia ha dato a Fiat più di sette miliardi in investimenti, di cui soltanto 6,2 reinvestiti

Cgia: dallo Stato 7,6 miliardi a Fiat

7,6 miliardi dati dallo Stato alla Fiat. E solo 6,2 reinvestiti. La Cgia di Mestre tira le somme sugli investimenti statali destinati al Lingotto a partira dal 1977. E sottolinea lo squilibrio tra quanto dato dallo Stato e quanto reimpiegato dal gruppo torinese.

Un dato, quello fornito dall'Associazione Artigiani, che va comunque valutato tenendo conto di alcuni elementi, messi bene in chiaro dal segretario, Giuseppe Bortolussi. Non è da sottovalutare, per esempio, il fatto che agli investimenti statali vadano integrati "tra il 1990 e i giorni nostri" gli investimenti "realizzati da Fiat". E che comunque larga parte dei finanziamenti sia arrivata negli anni '80, "quando tutti i Governi dei Paesi occidentali sono intervenuti massicciamente per sostenere le proprie case automobilistiche".

L'investimento principale (leggisi più gravoso) per lo Stato? Quello destinato alla costruzione degli impianti di Melfi e Pratola Serra, per i quali, tra il 1990 e il 1995, vennero sborsati alla Fiat quasi 1,28 miliardi di euro. Il Lingotto rispose poi con due miliardi per i progetti avviati in loco.

Interessanti anche le cifre relative alle ristrutturazioni della Sata di Melfi (tra il 1997 e il 2000) e dell'Iveco di Foggia (tra il 2000 e il 2003). L'investimento statale fu, rispettivamente, di 151 e 121,7 milioni di euro. La cifra messa sul tavolo da Fiat fu di poco inferiore agli 895 milioni di euro.

Le considerazioni della Cgia vanno calibrate, ma non mancano di porsi in modo critico: "Da sempre - commenta Bortolussi - la politica italiana ha guardato con grande attenzione e una certa indulgenza alla più grande industria privata italiana. Ora che soldi pubblici non ce ne sono più, ognuno deve correre con le proprie gambe e affrontare la concorrenza internazionale con i propri mezzi".

E conclude lanciando un monito: "Se, in una fase estremamente delicata come quella che stiamo vivendo, dovessimo perdere un marchio che ha fatto, nel bene e nel male, la storia industriale del Paese sarebbe un grave danno per tutta l’economia italiana".

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