Cronaca locale

«Ora imparo a essere brutta» La «follia» di Eva Riccobono

Debutto a teatro della top model diretta da Shammah «E spero che sia il primo passo di una lunga strada»

Antonio Bozzo

«Voglio imparare a essere brutta». Se lo desidera una delle donne più belle del pianeta, la siciliana cittadina del mondo Eva Riccobono, è un «vaste programme», avrebbe detto il generale De Gaulle. Una missione impossibile che invece al Franco Parenti, dal 23 al 28 maggio, vedremo compiersi davanti ai nostri occhi. Brutta, che cosa vuol dire? «Non trasformarsi in strega, ma portare in scena una persona vera, con una bellezza particolare, anche non armonica. Mi piace incuriosire pure con i difetti». Lei non ne ha. Non sbagliano i re della moda che l'hanno resa celebre modella, giusto? «Nella moda vendi un prodotto estetico. Gli aggettivi che ispirano sono fresco, moderno, giovane. Ma non mi ritrovo più con il tipo di donna che viene lanciato. Il teatro non ha paura di andare in profondità».

E lei a teatro debutta. Con che cosa? «Con un percorso diretto da Andrée Ruth Shammah nella palazzina che affaccia sui Bagni Misteriosi. Non un classico palcoscenico. Più che debutto, è una augurazione: spero sia il primo passo di una lunga strada». Come mai il Parenti? «È un teatro incantato. Quando la Bbc mi fece un video con i miei posti preferiti di Milano, scelsi il Parenti. Ho conosciuto Shammah a una cena privata, qualche anno fa. Ci siamo ritrovate di recente e le ho detto che il mio sogno era lavorare con lei. Ho sempre amato il teatro, ora vivo a Londra e mi tuffo nelle scene inglesi, a Milano frequentavo il Piccolo e il Parenti». Lei ha fatto film di successo. Differenza con il teatro? «Sullo schermo parli a una cinepresa. In palcoscenico ci vuole più tecnica, a partire dalla voce. E c'è il rapporto con il pubblico: scatena l'adrenalina e ogni sera rende diverso il rito della rappresentazione». Veniamo allo spettacolo. Stravagante, no? «Si intitola Stasera si può entrare, fuori ed è una piccola follia, sta scritto in cartellone, di Shammah. Con performance in un luogo tra realtà e finzione. Ci si perde per poi ritrovarsi. I testi di riferimento sono vari: pagine di Jung, Freud, Emily Dickinson, Anna Kavan, Tanizaki, Caproni, Maeterlinck e altri. Le stanze dove si svolge l'azione sono abitate e animate da attori, artisti, musicisti. Una complessa azione creativa». Lei vive a Londra, abitava a Milano, gira il mondo. Che cosa resta della sua Sicilia? »Me la porto con me. Noi siciliani siamo i brasiliani d'Italia. Ricordo che a Milano si meravigliavano per la mia espansività. Toccavo due o tre volte le spalle di un amico e pensavano chissà che. Sono una persona tattile. Con l'ironia presa da papà. Poi Sicilia per me vuol dire cibo: cucino specialità dell'isola e sono una buongustaia». E a Londra come si sta? «Benissimo, sono mamma, è una metropoli a misura di bambino. Quando torno in Italia noto la differenza, siamo abituati male, anche a Milano che se la tira. In Sicilia poi è un disastro. Ma perché? Un Paese bellissimo ridotto così. Ci sentiamo ultimi, non siamo patriottici.

E se fossi un disabile, vista la difficoltà di girare per le barriere architettoniche, uscirei con la pistola».

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