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Compagni che ereditano: mezzo milione ai Bertinotti

All'ex leader di Rifondazione comunista lascito di 500mila euro da Mario D'Urso. La parabola del rosso Fausto: dalle lotte operaie ai salotti della Roma chic

Compagni che ereditano: mezzo milione ai Bertinotti

Anni e anni e soprattutto notti passate nei salotti della Roma che conta, ma poi l'impegno civile viene ripagato, e pure cash. Dalle oscuri uffici della Cgil, alla leaderhisp nazionale di Rifondazione comunista, fino alle vette di Montecitorio, da presidente, una carriera luminosa quella di Fausto Bertinotti, dal sol dell'avvenire alle notti della grande bellezza (si fa per dire) dei poteri romani. Tanto da meritarsi il soprannome di «Bertynights», lui e la moglie Lella, grandi amici di Valeria Marini e altri personaggi delle notti romane più pop (se non trash). Non è che faccia la fame da quando non è più parlamentare, visto che riceve un vitalizio da circa 100mila euro, ma gli amici a che servono sennò? Il Messaggero ha scoperto un lascito che lascia sorpresi nel testamento di Mario D'Urso, principe delle serate mondane romane da poco scomparso, uomo di mondo, amico dei reali e dei Kennedy, gran presenzialista di feste e serate (anche quattro di fila), già banchiere di Lehman Brothers a soli 28 anni, senatore in quota Dini con base a Capri (memorabile la descrizione della sua campagna elettorale fatta da Buttafuoco: «Si spostava e dormiva a bordo del suo yacht personale, con sei camerieri a servizio, tre nordafricani, due pidiessini e uno di Rifondazione») .

A parte l'infinità di vestiti, tutti di squisita eleganza, che «ovunque siano, essi sono destinati a mio nipote Francesco», ai beni lasciati a nipoti e ai domestici cingalesi, ci sono 500mila euro da versare non a parenti o eredi naturali, ma ai coniugi Bertinotti. A cui vanno pure due serigrafie di Andy Warhol. Mica male. L'ex leader comunista, cresciuto a lotte operaie contro la Fiat (mentre D'Urso era grande amico dell'Avvocato) ma più tardi sedotto dalle coccole del jet set con servitù a casa, incassa l'eredità con sincera commozione: «Mario era un uomo profondamente buono. Lo definivano snob, ma non era vero». Erano diventati, nelle serate romane, ottimi amici. «Con lui sto in silenzio e ascolto, ho tutto da apprendere» diceva D'Urso, non certo un taciturno, dell'ex presidente della Camera.

Due mondi opposti che si erano trovati, miracoli di quello straordinario ascensore sociale (per chi la fa) che è la politica. Figlio di un ferroviere socialista e madre casalinga, con casa di ringhiera e bagno in comune, frequentatore di circoli operai e sedi Cgil Bertinotti. Figlio di antenati illustri, invece D'Urso: avvocati, duchi (anche un ingegnere delle ferrovie che progettò per primo il ponte Sullo Stretto e aveva un suo treno privato, e poi un altro sodale di George Washington, tanto che «grazie a queste benemerenze, a Philadelphia ancora oggi, io non pago i tram e i musei»), unico italiano invitato ai cent'anni della regina madre d'Inghilterra, eccetera. Origine diversissime, unite dal grembo di Mamma Roma e dalla comune passione per i salotti giusti. Una parabola difficile da prevedere per l'ex lider maximo della sinistra estrema. Anche se la passione per i magliocini di cachemire («Ne ha sette, ma neanche un cappotto» spiegò la moglie) e l'erre moscia avevano sempre insospettito.

A questo punto, Bertinotti potrebbe onorare il mezzo impegno preso alla Zanzara : «Rinunciare al vitalizio? Se mi dessero qualcos'altro per vivere sì. Ho lavorato una vita e ho diritto ad una pensione: poi come si chiami non conta, basta che sia congrua con ciò che ho versato». Mezzo milione di euro messi a buon frutto potrebbero bastare per una vecchiaia serena. Compagni che ereditano. Lavoratoriii...

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