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Addio Spock che l'Enterprise ti teletrasporti tra le stelle

Morto a 83 anni l'attore Leonard Nimoy. Aveva profondi interessi spirituali mentre il suo personaggio e alter ego in "Star Trek" era tutto ragione

Addio Spock che l'Enterprise ti teletrasporti tra le stelle

Destinazione finale per l'ufficiale Spock, ora libero di girare tra le nuvole con le sue orecchie a punta, anche senza l'astronave Enterprise. D'altronde Leonard Nimoy, l'attore che in Star Trek ha incarnato uno dei personaggi più iconici della storia televisiva (tre nomination agli Emmy), nutriva profonde aspirazioni spirituali.

Prima d'andarsene, a 83 anni, per una grave infezione polmonare, ha twittato un pensiero altruistico e divertente: «Ho smesso di fumare 30 anni fa. Troppo tardi. Smettete ora, ragazzi!». Meno male che le avventure della fortunata serie sci-fi, in onda sull'americana Nbc dal 1966 al 1969, gli dettero l'opportunità d'indagare altri mondi e altre presenze, nelle quali credeva. Sempre restando vicino ai milioni di fans internazionali che il suo mister Spock, mezzo alieno, mezzo umano, gli aveva guadagnato. «Noi non siamo esseri umani che vivono una esperienza spirituale. Siamo esseri spirituali che vivono una esperienza umana», gli piaceva citare il filosofo e teologo Teilhard de Chardin. E guardando le foto che ha scattato in uno dei segmenti d'una lunga carriera, quasi tutte in bianco e nero ed esposte nei più importanti musei americani - dal Museum of Fine Arts di Houston al Los Angeles County Museum of Art - si capisce la sua ricerca della Shekhinah, termine talmudico per il Dio femminile presente intorno a noi.

Da ebreo ucraino, nato a Boston il 26 marzo 1931 in un quartiere popolato da immigrati irlandesi e italiani che fu il suo primo palcoscenico, Nimoy conosceva l'emigrazione interiore, la via di fuga all'interno di sé. La sua missione, al di là del ruolo di ufficiale scientifico Vulcaniano, al fianco del Capitano Kirk, è stata vivere facendo l'attore. E scattare clic dall'età adolescente, quando, con la sua Kodak Bellow anni Trenta, si chiudeva in bagno per sviluppare rullini, al buio di un'improvvisata camera oscura. In due camere e cucina abitavano in sei, nel West End bostoniano: i nonni, papà Max, che aveva un negozio di barbiere, mamma Dora Spinner e i due fratelli Nimoy. E tutti parlavano yiddish.

Di strada ne ha fatta: da Star Trek alle foto, dalle poesie ai film, ha sempre messo il proprio ebraismo al servizio della comunicazione. Il tipico saluto vulcaniano di Spock, a formare due «V» con le dita della mano aperta, viene da un'esperienza vissuta in sinagoga, a otto anni, mentre i grandi recitavano il kohanim . «Gli uomini cantavano e pregavano durante la cerimonia ortodossa: tutto era appassionato, teatrale. Mio padre mi disse di tenere gli occhi chiusi durante le preghiere. Non lo feci e fu allora che vidi quel gesto». Anni dopo, gli sarebbe tornato utile per salutare gli altri Vulcaniani e farne un marchio di fabbrica, come le famose sopracciglia. «C'è una forte vena giudaica in tutto quel che faccio. È una presenza che non rinnego e che non voglio rinnegare», spiegava Nimoy, il quale nel 1991 produsse il film tv Never Forget per mettere a confronto negazionisti e sopravvissuti all'Olocausto.

Non c'è dubbio che Mister Spock sia l'aspetto più durevole della sua celebrità, tanto da approdare sul grande schermo con otto sequel: dal nuovo Star Trek a Star Trek - Into the Darkness di J.J. Abrams, a fianco del suo corrispettivo da giovane, alias Zachary Quinto, il Vulcaniano ha resistito al tempo. «Mi piace essere identificato con Spock, perché lo ammiro. Lui chiede d'essere qualcosa di più, oltre l'umano ed è un personaggio molto attraente, particolarmente per i giovani. Gli adolescenti capiscono che cerca l'equilibrio tra logica ed emozione», ha confessato al Wall Street Journal . Con la moglie Susan, sposata nella loro bella casa di Bel Air, nei dintorni di Los Angeles, Nimoy ha collezionato arte contemporanea, facendo esercizi yoga nel loro giardino giapponese, circondato da pini e sculture in metallo. In questa casa la star conservava, in una scatola nera, le orecchie indossate all'ultimo ciak di Star Trek , nel 1969. «Non tengo in armadio le uniformi di Spock, ma sono assolutamente in pace col mio personaggio. Qualche anno fa pensavo che avrebbe sovrastato la mia carriera. Ma ora sono grato a Spock. Da ebreo cresciuto a Boston, sono sempre stato “l'altro”: un alieno», diceva.

Ora, i problemi d'identità sono finiti.

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