Cultura e Spettacoli

Alessio Boni cattivo per fiction "Sono un papà di inizio '900"

«Di padre in figlia» su Raiuno racconta la famiglia dura e patriarcale: "Erano analfabeti dei sentimenti"

Alessio Boni cattivo per fiction "Sono un papà di inizio '900"

Così cattivo non l'avete visto mai. Fate pure l'elenco di tutti gli aggettivi possibili per un padre-padrone: manesco, insensibile, dispotico, tirannico... Lui se li merita tutti. E' anzi probabile che questo Giovanni Franza sia il ruolo più odioso che Alessio Boni abbia mai interpretato. Eppure il cinquantenne attore non ha dubbi: «No. Non è un cattivo padre. Semplicemente è un padre di sessant'anni fa».

Ma davvero il protagonista maschile della nuova serie Di padre in figlia (da martedi 18 su Raiuno) pensa che negli anni Cinquanta tutti i padri fossero così? «Non tutti riflette Boni -. Molti. Giovanni è un ex contadino. Non ha cultura, né educazione: tornato dal Brasile nel dopoguerra con le toppe ai calzoni, si getta a testa bassa nell'impresa di tutta una generazione: fare soldi. S'inventa una distilleria cui sacrificando tutta la vita e la famiglia (una moglie che sopporta in silenzio; delle figlie che maltratta a vantaggio dell'unico figlio, ed erede, maschio) trasformerà in una florida impresa. Ma rimane un uomo ottuso, violento, dispotico, che non ammette altre opinioni al di fuori della propria».

E, se si insiste a dubitare che un uomo simile possa essere giustificato, «è un uomo di allora lo giustifica Boni -. Mio nonno, il mio bisnonno, erano così. Allora era normale trascurare la moglie per farsi l'amante, comandare le figlie come fossero soldatini, sacrificare tutto al lavoro. Mio padre si vergognava di portarmi a passeggio. I padri di quella generazione erano degli analfabeti dei sentimenti».

Secondo l'attore nessuno insegnava agli uomini del dopoguerra il rispetto per la moglie o l'amore per i figli. «Non erano neppure abituati a manifestarlo, l'amore. Amavano, naturalmente; ma consideravano i figli una loro proprietà. E quando tornavano a casa neppure chiedevano loro Com'è andata a scuola?. Voglio dire: neanche ci pensavano. Semplicemente credevano che quelle cose non competessero loro».

Qualcuno potrà peraltro rimproverare a Di padre in figlia, che è il racconto della trentennale evoluzione della donna, attraverso la saga di una famiglia di Bassano del Grappa, di schematizzare troppo: le femmine tutte buone, i maschi tutti cattivi. Ma secondo Alessio Boni «i maschi erano così perché quella era la cultura in cui crescevano. Ci sono voluti trent'anni, perché le donne lo capissero. E, promuovendo le loro battaglie, cambiassero sé stesse. E anche i loro uomini». Insomma: l'attore sembra credere molto in questo personaggio e, in generale, in tutta la serie.

«Il fatto è che alla base c'è uno splendido soggetto di Cristina Comencini, magnificamente sceneggiato da Francesca Marciano, Giulia Calenda e Velia Santella. Confesso: quando ho letto la sceneggiatura mi ha commosso. E so che anche il produttore Angelo Barbagallo e il regista Riccardo Milani (come le protagoniste Cristiana Capotondi e Stefania Rocca) dopo la prima proiezione, avevano gli occhi lucidi». Nonostante la conclusione positiva, però, Di padre in figlia non prevede un banale happy end. «Oggi, trent'anni dopo, l'Italia è molto cambiata per le donne. Se pensiamo che le italiane hanno ottenuto il diritto di voto solo settant'anni fa... Ma la parità non è ancora totale. Non sono femminista. Però non posso non stigmatizzare, ad esempio, l'ingiustizia di stipendi diversi fra uomo e donna, perfino nell'uguaglianza professionale».

Dopo La meglio gioventù, che clamorosamente lo lanciò, dopo aver incarnato Ulisse, Caravaggio, Puccini, dopo aver lavorato in teatro con Strehler e Ronconi, ormai a cinquant'anni, cosa altro chiede alla sua carriera Alessio Boni? «Ho avuto moltissimo da questo mestiere, sarei un ingrato a negarlo. Diciamo che a questo punto, forse, non devo dimostrare più nulla. Però coltivo ancora dei sogni: vorrei debuttare nella regia cinematografica. Ho il soggetto: la storia, realmente accaduta, di un amore impossibile. La dirigerei senza interpretarla. Ma per preparare un film devi fermarti almeno un anno. E oggi, dopo il debutto di quest'estate a Spoleto, sono ancora impegnatissimo con la tournèe della mia prima regia teatrale, I duellanti». Ma anche con un nuovo ruolo al cinema: Lunedì sarò a Bolzano, sul set de La ragazza nella nebbia, versione cinematografica del romanzo omonimo di Donato Carrisi.

Uno splendido cast - Toni Servillo, Jean Reno, Michela Cescon - per un magnifico thriller».

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