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Il rischiatutto di Allegri e Spalletti

I due possiedono sana e robusta reputazione, ma non sempre basta

Il rischiatutto di Allegri  e Spalletti

Devoti all'idea che un allenatore conti sempre meno di un buon gruppo di giocatori, perché non inchinarsi davanti ad un paio di temerari? Non è difficile intuire che Max Allegri e Luciano Spalletti quest'anno giochino con il rischio di una scommessa. Benvenuti nel club del rischiatutto: i due possiedono sana e robusta reputazione, ma non sempre basta. Allegri ha riportato la Juve fuori del confine dello scudetto tricolore, due finali di Champions, benché perse, valgono un attestato di fiducia. Eppure gli umori dello juventinismo dicono che basta sbatter la testa davanti ad una grande squadra (Real Madrid) per reintrodurre l'idea della precarietà, quel mi convinci-non mi convinci che ha tratteggiato il cammino del tecnico a Torino. I 50 anni di Max non hanno portato consiglio, perché altrimenti lo avrebbero indotto a chiudere con la Signora. Difficile far meglio nel senso globale. Invece Allegri ha deciso di giocarsi il poker fino in fondo per vedere dove lo portano il suo calcio e lo stellone. Un solo finale accettabile: vincere la Champions per sentirsi appagato. La squadra, non proprio fantastica, costruita quest'anno dovrà dare la risposta definitiva: vinco tutto o perdo tutto.

Immaginiamo invece che, in qualche momento, Spalletti si sarà messo le mani nei capelli che non ha. Ci vuol fegato nello sbarcare a Milano, dopo aver passato le turbolenze romane. Roba da kamikaze. Il mondo Inter è molto di più di una centrifuga di trapattoniana memoria: è l'inferno degli allenatori. Ne ha distrutti a decine, tranne il primo Mancini e Josè Mourinho, fuggito in tempo. Nella società nerazzurra tutto è cambiato perché nulla cambiasse. Spalletti si gioca la scommessa in tre concetti: ricostruire una squadra, portarla a vincere e non farla tornare ad essere un Vietnam interno. In compenso il tifoso lo ha già accolto con un senso di ritrosia: questione di personalità più o meno accattivante. Poi, certo, gli basterà vincere e diventerà un fenomeno.

Senza mai dimenticare la tesi morattiana: gli allenatori sono tutti bravi, poi c'è l'Inter.

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