Cronache

Nell'albergo dei profughi tra partite a carte e proteste

Siamo entrati nel centro d'accoglienza di largo Perassi, nel quartiere Aurelio a Roma, per vedere come vivono i 225 richiedenti asilo sistemati dalla Prefettura in questo ex albergo, tra le proteste dei cittadini

Nell'albergo dei profughi tra partite a carte e proteste

Il centro di accoglienza straordinaria il Gelsomino, è un centro di accoglienza temporaneo aperto dalla prefettura di Roma per far fronte all’emergenza migranti sul territorio nazionale. Ma da quando il mese scorso, senza alcun preavviso per i residenti, la Prefettura ha sistemato in questa struttura a largo Perassi, 225 richiedenti asilo, non sono mancati disagi e proteste.

Appena arrivati nel centro, infatti, i profughi hanno organizzato una manifestazione per chiedere alla cooperativa che li ospita soldi contanti al posto dei voucher. Nel frattempo, gli abitanti del quartiere Aurelio, da settimane protestano per chiedere più sicurezza, soprattutto durante le ore notturne, in cui molti dei migranti ospiti del centro vagano per il quartiere.

La vita nel centro di accoglienza

“I migranti ospiti del centro non aumenteranno di numero, al limite se qualcuno andrà via verrà rimpiazzato”, dice a ilGiornale.it Mauro Bocci, presidente della cooperativa Sinergy, che gestisce il centro d'accoglienza, dove circa trenta gli operatori si occupano del processo integrativo degli ospiti, a partire dall’insegnamento della lingua italiana e dell’educazione civica (guarda il video).

“Sono persone che provengono da un contesto culturale completamente diverso, e noi gli forniamo gli strumenti per affrontare il nostro contesto culturale”, ci spiega Alessandro, il responsabile del centro, “ad esempio, alcuni non sanno che per attraversare la strada bisogna aspettare che scatti il verde al semaforo, che si deve attraversare sulle strisce, che per prendere l’autobus o la metro devono fare il biglietto e convalidarlo, e così via”.

La maggior parte dei richiedenti asilo ospitati in questo ex albergo nel quartiere Aurelio arriva dalla Nigeria, dal Gambia, dal Mali e da altri Paesi dell’Africa Subsahariana. Hanno lasciato il loro Paese a causa dell’instabilità politica, della guerra o della povertà estrema e molti di loro sono ancora in attesa di poter formulare la domanda di asilo. Qui la giornata è scandita da tre momenti principali: la colazione, il pranzo e la cena. La mattina c’è la scuola di italiano e l’orientamento legale. Il pomeriggio e la sera, invece, gli ospiti sono liberi (guarda le foto).

Gli operatori pensano a tutto: dal cibo, alla fornitura di prodotti per l’igiene, dagli asciugamani alle lenzuola, alle schede telefoniche che vengono consegnate ai migranti appena arrivano, per consentire loro di telefonare a casa. “Raccogliamo le taglie e acquistiamo per loro vestiti nuovi, tute, scarpe e giacche invernali”, spiega il responsabile. Il centro offre anche un servizio di supporto psicologico e di accompagnamento per le pratiche legali. “Per il futuro stiamo strutturando laboratori e attività ricreative o di animazione” dice Alessandro. Ma, per ora, i ragazzi passano il pomeriggio e la sera giocando a carte e ascoltando musica nelle loro stanze, oppure in giro per il quartiere.

Accoglienza, ritardi e proteste

Le stanze dell'ex hotel, sono diventate la casa dei ragazzi, che incontriamo salendo le scale e percorrendo i corridoi dell’edificio. “Qui il posto è bellissimo, abbiamo l’acqua calda e tutti i comfort”, racconta un ragazzo del Gambia, che è scappato in Italia perché perseguitato politicamente nel suo Paese. Ma tra loro c'è anche chi protesta: “Ogni giorno dobbiamo andare in giro per il quartiere per cercare una connessione ad internet e la sera ora fa freddo, quindi vorremmo che ci fosse il wi-fi nella struttura”.

Gli stessi migranti si lamentano, inoltre, per i ritardi nelle procedure burocratiche per presentare la domanda di asilo. Molto di loro, infatti, affermano di non essere stati ancora chiamati per la consegna delle impronte digitali, necessaria per poter presentare la richiesta di protezione internazionale. Un processo che dura, nel complesso, circa un anno, durante il quale i migranti hanno diritto a beneficiare dell’accoglienza nel centro. Inclusi nei circa 35 euro al giorno, stanziati dalla Prefettura per provvedere alle necessità di ciascuno dei richiedenti asilo, inoltre, ci sono circa 80 euro mensili, offerti ad ogni rifugiato per provvedere alle proprie necessità personali. Un ragazzo gambiano ci spiega che vorrebbero ricevere questa cifra sotto forma di denaro contante, così da poter fare qualcosa per le loro famiglie nei Paesi d’origine.

È questo il motivo per cui i migranti hanno protestato alcune settimane fa. “Non è stata una protesta aggressiva”, spiega il responsabile, Alessandro, “I ragazzi hanno consegnato alla polizia un documento scritto in cui chiedevano alla Prefettura di ricevere denaro contante al posto dei ticket, ma la Prefettura chiaramente non ha acconsentito e noi abbiamo continuato a dargli i voucher”.

La preoccupazione dei residenti

Le tensioni nel quartiere, comunque, rimangono e gli abitanti della zona restano diffidenti. “Le persone alloggiate a nostre spese in questo hotel non svolgono nessuna attività volta ad integrarsi, anzi vengono lasciati tutto il giorno e la notte liberi di girare per il quartiere”, accusa Daniele Giannini, ex presidente del Municipio XIII, che ogni settimana con le “sentinelle civiche” pattuglia la zona di sera per “monitorare la sicurezza”.

Gli ospiti, infatti, dovrebbero rientrare nel centro alle 22.30, ma alcuni di loro restano in giro anche oltre l’orario di chiusura. “Se non tornano nella struttura hanno 72 ore per rientrare, e se non rientrano entro 72 ore dall’ultima firma che hanno messo, vengono segnalati alla Questura e agli altri organi competenti e vengono dimessi”, spiega il presidente della cooperativa, Mauro Bocci. “Qui nella nostra struttura però rientrano tutti”, spiega Bocci, “a parte qualcuno che è stato dimesso perché si è allontanato e non è più rientrato: ma questo capita in tutti i centri, perché magari hanno un amico o un fratello da un’altra parte e si avvicinano”.

“Il lavoro che noi facciamo qui è volto a salvaguardare sia i richiedenti asilo, sia il territorio in cui viviamo”, afferma, infine, il responsabile del centro, Alessandro, rispondendo alle preoccupazioni dei residenti, “e anche lo Stato dovrebbe lavorare, come facciamo noi, in entrambe le direzioni”.

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