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Roma invasa dai market stranieri. Gli italiani (che pagano le tasse) in crisi

Su dieci esercizi almeno sette pagano meno l'Iva con uno stratagemma. Ogni cento euro di incasso quasi 20 finiscono in tasca a questi imprenditori

Roma invasa dai market stranieri. Gli italiani (che pagano le tasse) in crisi

È il caso di dirlo, a Roma i fruttaroli romani da cinque anni a questa parte sono arrivati proprio alla frutta. Le frutterie romane infatti non esistono praticamente più. Al loro posto quelli che vengono definiti Mini Market. Infatti oltre la frutta e verdura, molte volte vengono venduti altri generi di prima utilità. Persino bevande alcoliche.

Il settore, soprattutto negli ultimi cinque anni, ha assistito a una lenta ma costante avanzata di piccoli imprenditori stranieri in particolare provenienti dal Bangladesh, Egitto e Marocco, che hanno trovato nelle frutterie una facile via d’accesso per guadagnarsi un posto nel settore del commercio al dettaglio italiano. Soppiantando di fatto i rivenditori romani, che pagando regolarmente le tasse non riescono a concorrere con quest’ultimi arrivati.

E non a caso la Fiepet Confesercenti ha presentato tempo fa, alla Guardia di Finanza e all’Assessorato alle Attività Produttive un esposto contro i mini market che troppo spesso eludono il fisco e fanno concorrenza sleale con piccoli escamotage.

Come ci racconta Flavio, che ha il banco nello storico mercato di Campo de Fiori ed è fruttarolo da cinque generazioni: "Al contrario di noi, a loro basta solo l’investimento iniziale per aprire o subentrare in un negozio. Poi i costi di gestione di queste fantomatiche frutterie straniere sono ridotti al minimo. Titolari e nome delle società che cambiano anche tre, quattro volte l’anno sono solo alcuni dei piccoli escamotage che attuano per aggirare il fisco. Fisco che noi cittadini romani, italiani paghiamo con il sudore delle fronte da anni e molte volte quando non riusciamo ci vediamo costretti a chiudere l’attività".

E la situazione che Flavio ci racconta sembra prendere sempre più piede. Questo anche grazie agli insufficienti controlli amministrativi, alla poca cura dei locali, alla merce venduta a costi ribassati perché di seconda mano e, non per ultimi, gli orari. Questi Mini Market stranieri infatti restano aperti tra le 16 e 18 ore al giorno. Per rientrare delle spese e per azzerare i costi del personale molti di coloro che vendono la frutta rimangono a dormire nel negozio. Alcuni ne hanno fatto la loro casa.

Nel quartiere Centocelle, zona periferica della Capitale ce ne sono almeno un centinario. Le chiamano "frutterie allargate". E allargate lo sono in tutti i sensi: perché occupano il suolo pubblico in maniera illegittima e vendono merce che esula dalla loro licenza.

Accanto alla frutta, sistemata sui marciapiedi, sono esposti detersivi, biscotti e pasta. Alcune hanno addirittura un frigobar per gli alcolici. Ma esporre cibo fuori dai locali è contro la legge. Possono farlo solo bar e ristoranti, pagando le tasse per l’occupazione del suolo pubblico.

E mentre in alcune zone di Roma come Eur e Parioli, le frutterie allargate sembrano non prendere piede, in altri quartieri spuntano come funghi. Nel Municipio V, in soli dieci giorni, ne sono nate tre a distanza di poche centinaia di metri. Hanno preso il posto di un solarium, di un negozio di borse e di un barbiere.

Da via Prenestina percorrendo via Renzo da Ceri e via Teano, fino a piazza Teofrasto ce ne sono ben sette. Trecento metri più avanti, su via Cocconi, altre due. Di fronte, un piccolo supermercato Conad. Teresa, la proprietaria ci ha raccontato: "Tutti hanno il diritto di lavorare ma non è giusto esser tartassati dai controlli quando poi loro non rispettano la legge. Guardia di finanza, Agenzia delle Entrate, Nos e Asl fanno continui blitz. Le condizioni igieniche devono essere perfette, altrimenti ci bastonano con le multe".

Ed è per questo che la Fiepet Confesercenti continua a ribadire il suo punto di vista: “Troppo spesso assistiamo a comportamenti scorretti da parte di questi minimarket, condotti da stranieri, che vendono non solo frutta e verdura ma anche bevande alcoliche. In questo caso, però, invece di battere regolari scontrini con il 22% di Iva, come accade a qualsiasi esercizio commerciale, al dettaglio o all’ingrosso, che vende al pubblico vino, birra e liquori, battono scontrini con il 4% di Iva come se vendessero frutta o altri generi alimentari. Abbiamo verificato che su dieci esercizi almeno sette usano questo stratagemma per pagare meno Iva. Si calcola che su 1000 euro di incasso 180 finiscono nelle casse di questi imprenditori che eludono così il fisco. Moltiplichiamolo per centinaia di frutterie e minimarket stranieri sparsi sul territorio, per migliaia di bottiglie e bevande vendute ogni giorno, ecco che l’evasione è a più zeri".

In effetti rimane difficile restare indifferenti a questo fenomeno. Basti pensare che l’ultimo lo hanno aperto sotto casa di Napolitano. Un nuovo minimarket che vende di tutto, alcool compreso, in via dei Serpenti, dove l’ex Presidente è tornato a vivere dopo il Quirinale.

Del resto sono attività facili e sicure.

Il giro d’affari è grande, i clienti assicurati e questi commercianti stranieri se ne infischiano di prendere ogni tanto qualche multa. E comunque vada, una cosa è certa, domani mattina e nei giorni a seguire li ritroveremo puntualmente, lì.

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