Nasrallah minaccia l’Unifil «Non ci disarmerete mai»

Dopo due mesi torna in piazza il capo di Hezbollah: «Abbiamo ancora 20mila missili»

Gian Micalessin

Riemerge dalle rovine e lancia la sua nuova sfida. Alla forza internazionale nel sud del Paese, all’esercito libanese, al governo e anche ad Israele a cui giura di voler restituire i soldati rapiti soltanto dopo uno scambio di prigionieri. È il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah: il suo turbante nero e il suo pugno agitato nell’aria stagnante della periferia sud di Beirut parlano chiaro, senza giri di parole. Il capo risorto si crogiola tra lo scudo umano di cinquecentomila libanesi calati nel sud devastato di Beirut per acclamarlo ed incitarlo. Sono ovunque. Arrivano dal sud distrutto, dalla valle della Bekaa, dal nord di Tripoli. Convogli di auto e pullman. Grappoli d’umani abbarbicati a tetti, finestre e lampioni. Una marea di volti, chador e mani tese ricoperta dallo sventolio di migliaia di bandiere gialle di Hezbollah.
È la festa della vittoria tra le macerie di una periferia sud spianata dalle bombe israeliane. Lui si compiace per il proprio e loro coraggio. «Dicevano che la piazza sarebbe stata bombardata, il palco distrutto... ma il mio cuore e la mia anima non mi permettevano di celebrare da lontano, e voi partecipando dimostrate di esser più coraggiosi del 12 luglio e del 14 agosto», strilla Nasrallah ricordando le date d’inizio e fine del conflitto con Israele.
Ma più dell’immaginifica vittoria conta la nuova sfida, la nuova minaccia alla comunità internazionale e al governo filo occidentale di Fuad Sinora. Hassan Nasrallah mette in guardia i generali libanesi e quelli dell’Unifil (quindi anche gli italiani), li avverte che «nessun esercito potrà strappare le armi dalle mani di Hezbollah». Un pugno allo stomaco soprattutto per chi, inviando un contingente internazionale nel sud del Libano, pensava di mercanteggiare un disarmo di facciata, concludere senza sforzi la missione e vantarsi di aver ridisegnato i destini mediorientali. Nasrallah ricorda, invece, che Hezbollah - anche stavolta - non farà sconti a chicchessia.
Ma chi si deve veramente preoccupare , e subito, è il primo ministro Fuad Sinora. Le parole dedicate al suo esecutivo suonano più come un preludio al golpe che non un’esortazione all’unità nazionale. «L’attuale governo è incapace di proteggere o ricostruire il Libano», afferma Nasrallah invocando la nascita di un «governo di unità nazionale» . Non è solo una minaccia. I simboli e i sostenitori della nuova possibile alleanza di governo sono lì, davanti a lui. Sono i cristiani del generale Aoun pronto ad un patto con il diavolo pur di succedere al presidente Lahoud. Sono i partiti filo siriani che ancora controllano i gangli del potere e dell’esercito. In parlamento l’accordo tra Aoun e Nasrallah esiste già. Nella piazza i militanti cristiani si slogano per protestare contro il disarmo di Hezbollah. Insomma i giorni di Siniora, dei suoi collaboratori, dei Drusi e di quanti insistono per un reale disarmo di Hezbollah potrebbero essere contati. A chi s’illude di poter ignorare le sue parole Nasrallah ricorda che il suo esercito e i suoi arsenali sono tornati quelli di prima. «Prestate attenzione – grida Nasrallah alla folla esultante - oggi Hezbollah ha più di 20mila missili, ha recuperato le sue capacità organizzative e militari... è più forte del 12 luglio». Gli israeliani che lo vorrebbero morto potrebbero bombardar la piazza, ucciderlo con un missile, ma sarebbe una vittoria di Pirro.

Così i generali di Tsahal fanno sapere di non voler agire e il premier Ehud Olmert se la cava rispondendo di non voler far sapere in anticipo le mosse d’Israele al nemico nuovamente esultante. Un nemico che - dichiarano qualche ora dopo i portavoce del ministero degli esteri israeliano – «sta sputando in faccia alla comunità internazionale».

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