Cè un aspetto che distingue Cristoforo Colombo, uomo di mare, dalle altre opere sul navigatore genovese. Il libro, in edicola da domani con il Giornale, quarto titolo della «Biblioteca Storica» dedicata al Rinascimento, ha un inconfondibile profumo salmastro: il suo soggetto dominante è il mare, insieme alluomo che lebbe nel sangue e nel destino, lAmmiraglio del mare Oceano, un figlio di lanaioli genovesi che ai telai preferì da subito brogliacci di viaggio e carte nautiche (di cui fu anche editore), le caracche e i galeoni della città natale, da cui simbarcò per la prima, indimenticabile traversata, alla baia di Portofino, sul legno di un parente, bottegaio di pesce secco.
Tra queste pagine frusciano costanti gli alisei di nord-est, grata colonna sonora del velista che salutate le Canarie sinoltra in Atlantico, a settentrione dellEquatore; sentiamo lo sciabordio della prua sullincrespatura delle onde nelle spettacolose mattinate, che tingono la velatura di rosa e che spinsero Colombo a registrare sul suo giornale di bordo il plazer grande e il gusto de las mañanas («dolce come laprile in Andalusia, solo senza il canto dellusignolo»), ma anche il più soffice fendersi delle alghe dei Sargassi; vediamo il tuffo delle procellarie nella distesa di plancton, il veleggio delle fregate, piumati vascelli dellaria che non ammainano mai, gli uccelli del nostromo, le code sottili come punteruoli da gomene e, quando la solitudine delloceano è assoluta, le scie aeree dei grandi labbi; ascoltiamo i rumori della caravella, il cigolio della clessidra che il mozzo rovescia a ogni quarto di guardia, il tonfo delle pompe, sempre in azione per sgottare acqua di sentina penetrata dai fori delle teredini che rodono lo scafo, il borbottio della ciurma che ingolla la zuppa di gallette a luci spente, per non vedere i vermi che linfestano, le biascicate giaculatorie che accompagnano ogni manovra, i Salve Regina, misero contrappunto al rombo delluragano caraibico, quando lindice del vento di Beaufort schizza oltre il 12 e la catena dellancora si tende come una corda di violino.
Tutto questo si deve a Samuel Eliot Morison, grande storico e, lui stesso, lupo di mare americano: il suo azzeccatissimo approccio allimmenso navigatore è quello del biografo che arma una vela e ripercorre gli itinerari colombiani, con un sonoro «al diavolo!» a tutti i navigatori da biblioteca e agli ammiragli in poltrona. La pagina trasuda di ammirazione - insaporita da invidia professionale - per il talento (un misto di prudenza, di audacia e di cognizioni tecniche) del marinaio Colombo, limpido nelle manovre estreme, come quando, nel tempestoso febbraio del 1493, reduce dalla scoperta, il genovese salva la Niña (la Santa Maria perduta sulla barriera corallina) scagliata come un proiettile dalla coda delluragano contro le scogliere portoghesi, con una mossa da antologia, il cambio delle mure, ottenuto facendo strambare la nave, issando una piccola vela quadra di trinchetto e facendola filare, il vento al giardinetto, con rotta parallela alla costa, senza lingavonarsi dello scafo.
Il puntiglio dellautore sullartista del mare non penalizza certo il personaggio storico: Colombo per Morison è la cerniera tra il Medioevo mistico e sognatore (la divina ricerca dellEden, oltre che dellEldorado, con i noti abbagli di una cartografia tradizionale che fantasticava di un pianeta ridotto di un terzo rispetto al reale) e il Rinascimento, cioè la modernità, sostanziato dallazione che non si arrende mai, dalla tenacia imprenditoriale, che di unavventura come quella americana pianifica tutto, dalleconomia alla tecnica, dalla diplomazia alla copertura militare. Da velista incallito, Morison si rammarica che nelle mattine tropicali, Cristoforo non abbia potuto mescolare al sentore della rugiada che evaporava sul ponte quello di una fragrante tazza di caffè.
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