E venne l’ora della Ragazza di ferro

L’eterna delfina di Kohl ha poco carisma ma una tenacia fuori dal comune. E ha il coraggio di dire ai tedeschi che devono lavorare di più

Roberto Fabbri

A prima vista «das Mädchen» (la ragazza, come l’aveva affettuosamente battezzata il suo pigmalione Helmut Kohl) non è quel che si dice un modello di carisma. Tozza, insaccata in vestiti più penalizzanti che sobri, il perpetuo caschetto di capelli biondo-spento, lo sguardo un po’ troppo placido... A volte sorge il dubbio che il fatto di essere una donna e di venire dall’Est ex comunista che Kohl tanto teneva a vedere integrato con il resto della Germania avesse pesato un po’ troppo nella sua scelta di fare dell’emergente Angela Merkel la sua erede, nominandola vicepresidente della Cdu a 37 anni. Ma il vecchio Panzerkanzler il suo mestiere sapeva farlo, e forse siamo noi italiani ad esagerare nell’aspettarci dai politici valori estetici accanto a quelli di sostanza: l’immagine, non di rado, nasconde le magagne.
La ragazza, che nel frattempo è approdata alla fatidica boa dei cinquanta, ha infatti nella sua manica altri assi. Intanto è una donna tenace. Ha saputo superare prove micidiali come l’essersi vista preferire il leader storico dei cristianosociali bavaresi Edmund Stoiber (lei presidente nazionale del partito) alla candidatura a cancelliere nel 2002 e l’aver “guidato” la Cdu, premiatissima dai sondaggi fin dalle prime settimane dopo quelle sfortunate elezioni, da un vantaggio apparentemente incolmabile a un imbarazzante quasi-pareggio sei mesi fa. Non ha mai fatto molto per farsi benvolere neppure nel suo partito, ma il rispetto dei suoi concorrenti lo ha sempre ottenuto: ministro per due volte tra il ’91 e il ’94, la sua carriera l’ha però costruita soprattutto all’interno della Cdu, dove le vengono unanimemente riconosciute correttezza, preparazione e determinazione. Mai implicata nello scandalo delle tangenti, insistette a tal punto con la pretesa di «chiarimento a ogni costo» da trovarsi soprannominata «Santa Giovanna della Cdu» e non esitò a mettersi contro lo stesso Kohl, che non le rivolse la parola per un anno intero.
Poi è una che sa farsi intendere, soprattutto quando si tratta di valori: figlia di un pastore protestante e dunque abituata a parlare diretto e a infischiarsi dell’impopolarità, usa la prima persona e spara frasi come «Voglio che la gente lavori di più: studenti, lavoratori, pensionati, disoccupati», oppure «Non accetterò mai che la Germania diventi un Paese multiculturale, dove coesistano società parallele e dove vengano celebrate le festività musulmane accanto a quelle cristiane».
Forte sui valori, ha altri punti deboli oltre a quello del look, contro il quale combatte una dignitosa battaglia (ultimamente è stata vista con audaci stivaletti a tacco alto e ha sfoggiato rossetti insolitamente vermigli): su tutti, quello di non aver mai gestito una carica politica a livello regionale, il che nella Germania strutturata federalmente ha il suo peso.


Ma con lei al timone, il suo Paese potrebbe scoprire una nuova Lady di Ferro: anche lei ha alle spalle studi scientifici (si è laureata in fisica a Lipsia ai tempi della Ddr), l’ascesa al vertice del suo partito in un’epoca di crisi, un chiaro background filoamericano e una durezza sufficiente per farle parlare apertamente di ridimensionamento dello Stato sociale, sacro per i tedeschi. Ma il coraggio paga, perché i sondaggi sono con lei. E se lunedì il vecchio Stoiber si farà da parte, la Germania avrà con ogni probabilità il suo primo Cancelliere donna: Angela Merkel, la Ragazza di Ferro.

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