La lotta al greenwashing: a che punto è l'Europa?

Il greenwashing è combattuto con maggior forza sul fronte industriale rispetto a quello finanziario in Europa. Più avanti gli Usa

La lotta al greenwashing: a che punto è l'Europa?

La moltiplicazione di fondi e investimenti definiti come "sostenibili" e delle politiche attive per la transizione energetica ed ecologica del capitalismo contemporaneo ha portato con sé, negli ultimi anni, la moltiplicazione dei casi di greenwashing tra compagnie e istituzioni finanziarie.

La sostenibilità è oramai una questione di business tutt'altro che secondaria e sarebbe errato pensare che le aziende più importanti possano fare a meno di considerarla nei loro calcoli. Volenti o nolenti, Larry Fink docet: "siamo sostenibili perché siamo capitalisti" e in quella direzione tirano i venti di mercato. A cui tutti, a parole, dichiarano di adeguarsi. Salvo poi scoprirsi, in diversi casi, in fallo: può essere la politica autoreferenziale sulla decarbonizzazione del big energetico, può essere la retorica green della banca o del fondo con gli interessi nel carbone, può essere la retorica pro-sostenibilità e riciclo di un'impresa produttrice di beni di consumo. Il greenwashing assume diverse forme ma si prefigura come una violazione delle regole di concorrenza dovuta al conseguimento di una finta prospettiva pro-sostenibilità.

E per un mercato come quello europeo risulta importante stare al passo con la regolamentazione delle politiche in materia di tutela dell'adeguamento del mercato ai nuovi paradigmi. Per tutelare i consumatori e gli investitori sia nel campo della transizione che in quello della finanza sostenibile.

Come ha sottolineato L'Eco delle Città, "proprio in questi giorni la Sec (l’autorità di vigilanza della Borsa degli Stati Uniti) ha emanato una prima bozza di linee guida per definire le informazioni che i fondi d’investimento devono fornire quando qualificano le loro offerte con termini quali “Esg”, “sostenibile” o “low-carbon”. Un obiettivo ambizioso: basti pensare che il patrimonio globale dei fondi “sostenibili” ammontava negli USA a ben 2,77 miliardi di dollari alla fine del primo trimestre del 2022, contro il miliardo di dollari del 2019". In Europa il difficile è garantire un'analoga e strutturata supervisione facendo coesistere il piano comunitario e quello nazionale.

Il caso recente di Deutsche Bank lo testimonia. Asoka Woehrmann, l'amministratore delegato uscente di Dws, la società del risparmio gestito controllata all'80% dalla banca tedesca Deutsche Bank, si è recentemente dimesso dopo esser stato travolto dalle accuse di greenwashing. Seguendo proprio le indagini della Sec la tedesca Bafin, omologa della nostra Consob, sta cercando di fare luce sulle modalitià con cui i prodotti di Dws sono stati etichettati come in linea con i criteri Esg, visti i diversi sospetti emersi sul tema di recente. E in finanza la moglie di Cesare, come si suol dire, deve essere al di sopra di ogni sospetto, specie quando il dilemma del greenwashing tocca un colosso come Dws, con 900 miliardi di euro di patrimonio gestito.

Chiaramente Dws e Deutsche Bank si trovano in una situazione complessa. Nessuna indagine formale ha accusato la banca di Francoforte per manipolazione di mercato o presunte truffe, dato che la vaghezza con cui gli Esg sono certificati a norma di legge lascia molte zone di grigio. Il caso impone però una più stringente necessità di controllo e regolamentazione da parte degli attori nazionali e comunitari per decidere come separare definitivamente i campi. Segnalano cosa è green e cosa non lo è. Cosa è sostenibile e cosa non pertiene a questa sfera.

Una modalità di definizione simile c'è già in campo di prodotti industriali, come ricorda Economia Circolare: "nel 2021 il network della Consumer Protection Cooperation ha pubblicato il suo annuale Sweep, una procedura per garantire l’applicazione delle leggi europee. Su 344 affermazioni a rischio greenwashing, si è scoperto che nel 42% dei casi le affermazioni erano esagerate, false o ingannevoli e potrebbero potenzialmente qualificarsi come pratiche commerciali sleali". Segno che le direttive comunitarie, pur nella loro perfettibilità, segnalano perlomeno un campo di gioco preciso.

Non a caso nelle sue recenti iniziative politiche la Commissione "propone di modificare anche la direttiva sui diritti dei consumatori (Consumer Right Directive) per obbligare le aziende a fornire ai consumatori informazioni sulla durabilità e riparabilità dei prodotti" così da meglio codificare la sostenibilità in ottica produttiva. Un'analoga presa di posizione sul mondo finanziario sarebbe positivo anche per il contesto europeo.

In quest'ottica, seguire l'esempio americano permetterebbe di capire cosa è finanza sostenibile e cosa no. Evitando "assalti alla diligenza" come quelli tentati da investitori che hanno provato, nei mesi scorsi, a colorare di verde anche le armi.

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