"Il futuro? Muri rimovibili e mobili sempre più ibridi"

L'architetto Piero Lissoni ci racconta le nuove tendenze dell'abitare emerse anche nel corso della Design Week di Milano

Piero Lissoni, architetto e designer
Piero Lissoni, architetto e designer

Il sindaco Beppe Sala al taglio del nastro della Fiera ha fatto un appello a non sedersi sugli allori perchè c'è sempre il rischio che il primato della Design week milanese venga scippato. Piero Lissoni, che ne pensa?

«Il primato lo manteniamo e lo manterremo perché quello che c'è dietro tutto questo è la grande industria degli artigiani e la scala produttiva. Finché la scala produttiva manterrà il desiderio, la qualità e soprattutto la voglia ogni anno di investire, di assumersi dei rischi, di farsi vedere, Milano continuerà a mantenere questo standard».

Ci sono tante città nel mondo che non vedono l'ora di scippare il primato a Milano e che stanno lavorando per questo.

«Le città del mondo possono fare tutti gli sforzi che vogliono perché manca loro una cosa fondamentale: il tessuto produttivo, a cavallo tra il sociale e l'industriale. Uno può anche inventarsi una Design Week, come hanno provato a fare a Londra, con 100% Design: per anni hanno sostenuto che loro sarebbero diventati il vero Salone del mobile. O ICFF a New York. Colonia è sempre stata la capitale del design e poi ha perso il primato perché l'industria è sparita. Se non hai un'industria diventa tutto superficiale».

È il dna del tessuto produttivo italiano che rende possibile il Salone, quindi.

«La parte creativa è la cosa tecnicamente più facile da risolvere. Le cose non si inventano: se manca il sistema strutturale non c'è fiera al mondo che resista».

È come se si respirasse un'aria per cui si assorbe la cultura del bello?

«Io sono innamorato della Design Week quindi tutto mi sembra meravigliosamente bello: il traffico, i disagi, il casino. In ogni luogo in cui mi muovo trovo cose belle da vedere, persone interessanti, gente che sorride, sento centinaia di idiomi differenti».

Una delle particolarità del primato di Milano è anche questa: l'energia straordinaria che emerge un po' all'improvviso.

«Milano, come la descrivono i miei amici non italiani, è una città elegantissima, le persone sono eleganti pur non essendo griffate, c'è una sorta di eleganza naturale».

Venendo un po' di più al cuore del Salone ovvero all'abitare: come sta cambiando la casa e il modo di viverla dopo la pandemia?

«La pandemia ha migliorato il modo di vivere delle persone, perché in molti si sono resi conto che vivevano in catapecchie e spendevano soldi per avere l'ultima macchina, l'ultimo ristorante, l'ultimo albergo. Ci si è resi conto che la casa aveva un valore diverso».

Il cambiamento si vede anche nel mercato?

«Tutto il comparto del design e del forniture design si è mosso immediatamente: ciò che è migliorato sensibilmente è la qualità di mobili e oggetti, indipendentemente dalla fascia di prezzo. A livello generale la scala industriale ha risposto in maniera impeccabile».

Come è cambiata la casa? Le stanze?

«Le case sono più in ordine, gli ambienti si sono incrociati tra di loro, sono molto più ibridati. Prima c'erano le stanze con funzioni molto precise, adesso ci sono gli ibridi, sono tornati di grande funzionalità».

Senza bisogno di abbattere i muri?

«No qualche muro è stato buttato giù, ma l'arredamento ha aiutato tanto, anche facendo scelte molto più ibride. Adesso ci sono delle cucine che una volta che sono in ordine e chiuse non hanno più l'aspetto di una cucina. I soggiorni dialogano con altri luoghi, i libri appartengono a tutte le stanze della casa. Il televisore è diventato una specie di camino del 2024. Ci sono un sacco di cose che si stanno mischiando e che stanno raccontando mondi diversi».

I bagni sono diventati dei salotti, anche se bisogna avere ampi spazi...

«Gli spazi non dico che siano un falso problema, ma sono un problema collaterale. Bisogna avere voglia, bisogna pensare che ci sia una specie di bellezza intrinseca in tutto quello che facciamo, e non necessariamente con delle funzioni. Con Boffi abbiamo cominciato a ridisegnare i bagni una ventina di anni fa e li abbiamo interpretati come delle terme. Oggi è normale, abbiamo la possibilità di fare le cose con un pochino di libertà in più».

Come cambierà ulteriormente il rapporto con la casa e dove porta questo fenomeno di ibridazione degli spazi?

«La proposta delle aziende è: Non costruire più muri, te li diamo noi. Ti diamo noi dei muri che quando vuoi togli, non hai bisogno di condoni, sono tecnici, li innervi di elettricità, acqua, aria condizionata, riscaldamento e muovi la casa intorno a questi muri, che sono la nuova generazione. Le case avranno muri ridotti all'essenziale, tutto il resto saranno mobili molto evoluti che ricopriranno funzioni diverse, faranno anche i muri».

Durante la pandemia abbiamo visto l'esigenza di ritagliarsi in casa uno spazio privato, che fosse per lavoro o di relax. Con questo nuovo fenomeno si riesce a ricavare lo stesso?

«Assolutamente sì, anche perché noi stiamo tutti lavorando per usare i mobili come se fossero delle architetture parziali.

Si tenga conto che le case giapponesi sono costruite attorno a questo schema: si fa scivolare una parete di carta e misteriosamente si è in un ambiente, la si riapre e si cambia. Ma otteniamo anche una buona privacy, a differenza dalle pareti di carta giapponese».

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