Il generoso alfiere dell'indipendentismo scozzeze

Diceva: "La cultura definisce un Paese". Ma non ha mai voluto essere un politico

Il generoso alfiere dell'indipendentismo scozzeze

Con la scomparsa di Sean Connery se ne va l'interprete più universalmente noto di quel variegato mondo indipendentista che attraversa l'Occidente e collega il Québec alle Fiandre, la Catalogna al Veneto, la Corsica alla Scozia. Perché Connery volle sempre esprimere con chiarezza la sua identità scozzese e, oltre a ciò, la speranza di vedere la propria terra riacquistare il diritto ad autogovernarsi.

Ora Connery se n'è andato e la Scozia continua a far parte del Regno Unito. Eppure mai come adesso è vicino il momento della disunione, dato che la Brexit ha creato una situazione inedita che sta aprendo la porta, per varie ragioni, proprio alla compiuta indipendenza di Edimburgo.

Perché Connery sperava di vedere il disfarsi del regno dei Windsor? Le ragioni erano molteplici, ma forse più di ogni altro motivo c'era il fatto che egli non amava alcun tipo di omogeneizzazione. Non a caso un giorno disse: «non sono un inglese, non sono mai stato un inglese, e non voglio esserlo. Sono uno scozzese. Ero uno scozzese e lo sarò sempre».

Ai suoi occhi il mondo era composto da storie e culture differenti, e ognuna - con i propri colori e le proprie specificità - meritava di essere rispettata. Per questo trovava sbagliato che la Scozia, entro un Regno Unito egemonizzato da una schiacciante maggioranza inglese, finisse per trovarsi senza un'identità. L'indipendenza della Scozia era allora la condizione del riconoscimento della dignità di quel popolo: del fatto che anche tale comunità potesse trovare un proprio posto nella famiglia delle varie comunità di cui si compone il genere umano. Una volta dichiarò: «la Scozia dovrebbe essere uguale a tutte le altre nazioni del mondo». Intendeva dire che ha il pieno diritto di gestire da sé il presente e provare a costruirsi un futuro.

Per questo motivo nel 1997 fu in prima linea nella campagna referendaria che portò al successo di quanti volevano la devolution. A giudizio di Connery, d'altra parte, la rinascita di un parlamento scozzese, dopo tre secoli, fu qualcosa di straordinariamente importante: quell'avvenimento gli apparve più che un passo lungo la strada che potrà portare al pieno distacco dalla monarchia inglese.

Anche se non nascose mai le idee secessioniste e per questo si mise sempre a disposizione di quanti sono impegnati per far nascere una Scozia indipendente, non ebbe mai ambizioni politiche. Ammise più volte di non essere un uomo politico e di non voler esserlo. Questo comunque non gli impedì di evidenziare che con Alex Salmond, prima, e con Nicola Sturgeon, dopo, la Scozia era riuscita a farsi riconoscere internazionalmente come una vera società senza Stato. Al punto che, ormai, «il futuro della Scozia è nelle mani della Scozia».

Si può essere favorevoli all'indipendenza della propria comunità per ragioni economiche. Si può esserlo sulla base di argomenti storici, oppure in ragione della lingua. Oppure perché si pensa che in un mondo con tante giurisdizioni indipendenti i diritti individuali siano meglio tutelati. Questo formidabile interprete di 007 faceva derivare il suo sogno di una Scozia indipendente in primo luogo da ragioni culturali. Come scrisse su The New Stateman anni fa, «la cultura definisce un Paese».

Inoltre riteneva che «in sostanza non vi è nulla di più creativo di un atto che crea una nazione». Soprattutto quando, come nel caso della Scozia e di altre realtà del Vecchio Continente, si tratta solo di riannodare i fili di un passato mai del tutto cancellato.

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