L’arbitro chiede scusa ai gallesi. E alla moglie

L’ex ct, adesso commentatore tv, sulla svolta del rugby: «Grandi in difesa. Ma bisogna ancora lavorare

da Roma

Ha urlato come un forsennato Pierre Villepreux. Lo ha fatto con il suo inconfondibile accento alla ispettore Clouseau. Quasi fosse un tifoso venuto da Mentone. E forse il suo cuore ha tremato come quello del milione e 200 mila italiani (10,26 di share) che ha seguito su La 7 quegli ultimi indimenticabili dieci giri d'orologio che hanno aperto le porte della storia agli azzurri del rugby. Del resto, di questa Italia Villepreux può essere a buon diritto considerato il progenitore. È stato lui, bandiera del rugby d'Oltralpe e autentico Re Mida tra i tecnici di tutto il mondo, a indicare nel '78 la strada migliore per arrivare in alto, quando Aldo Invernici lo volle alla guida della nazionale. E c'era ancora lui, dieci anni fa, sulla panchina della Francia, quando gli azzurri di Georges Coste stanarono i galletti nel pollaio di Grenoble ed aprirono le porte dei templi del rugby moderno. Ieri - e sono tre - c'era ancora lui al fianco del telecronista Paolo Cecinelli a commentare l'epica impresa del Flaminio. «Credo che la vittoria contro il Galles rappresenti uno snodo cruciale per lo sviluppo del rugby in Italia - spiega Villepreux -. È una vittoria che, sul piano dell'interesse, permette di ridurre le distanze rispetto al calcio e mette finalmente il rugby nella migliore condizione per crescere ancora. Ma attenzione perché non è che la vittoria di sabato lanci l'Italia al vertice del rugby mondiale. Ora comincia il lavoro vero. Perché questi risultati vanno consolidati. La Federazione deve operare su due fronti: aprire da un lato una forma di collaborazione con i club e dall'altro operare per riportare il campionato italiano su livelli di competitività»
Una lotta pallone su pallone. Un po' come è stato ieri nella battaglia del Flaminio. Una vittoria che gli azzurri si sono dovuti sudare. Fino all'ultimo placcaggio. Ed è proprio qui secondo Villepreux la differenza tra quello che era prima e quello che oggi è diventato il rugby di casa nostra. «All'inizio del secondo tempo il peso del gioco gallese si è fatto sentire - spiega -. Di qui le difficoltà dell'Italia. Ma a differenza di ciò che accadeva prima, oggi gli azzurri sanno difendere. Non vedi più i varchi lasciati incustoditi nello schieramento di retroguardia. È un'Italia presente, che non soffre più di amnesie. E tutto nel rugby moderno parte da una buona difesa».
Il rugby italiano insomma ha voltato pagina. Sabato affronterà l'Irlanda e poi scatterà l'operazione mondiale in Francia. Si torna nella terra dei padri anche se Saby, Villepreux, Fourcade, Coste ed ora Pierre Berbizier non la pensano proprio tutti allo stesso modo. «Credo che ognuno di noi veda il rugby in maniera differente ma tutti cerchiamo di dare a ogni giocatore una propria competenza. Poi con i ragazzi noi abbiamo un rapporto diverso da quello che si ha in altre parti del mondo. Più diretto. Credo che la forza dell'Italia sia stata anche questa».
Il mondiale è l'altro traguardo.

Mai gli azzurri sono riusciti a centrare i quarti di finale nella kermesse iridata. A settembre ci riproveremo, questa volta ancora con la Scozia, a Saint Etienne. E lì potrebbe aprirsi un'altra pagina nella storia del rugby di casa nostra.

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