Mazzone: «A 71 anni sono pronto, tanto non c’è da sudare...»

«Aragones e il Trap dimostrano che la panchina non ha età. In fondo c’è solo da gestire gente ricca e famosa e con l’esperienza si riesce meglio»

Più di due settimane sono passate dall’Europeo, davanti agli occhi di Carlo Mazzone resta l’icona di Luis Aragones, 70 anni, campione con la Spagna fresco di biennale con il Fenerbahce, la squadra turca che Zico ha portato ai quarti di Champions league.
Sor Carletto, lei ha 71 anni, allora non è pazzo se spera ancora di allenare...
«Mai dire mai, rimango qua, tranquillo, fra Ascoli e la mia casa al mare di San Benedetto del Tronto. Non capisco perchè si debba dare l’annuncio, che uno smette di allenare. Non so quello che farò da grande, faccio ride, ho il mio solito fratello gemello che si sedeva in panchina, ignorante di sette generazioni».
Questo Aragones non vuole proprio smettere?
«Beato lui, gli faccio i complimenti. Mi ha fatto tanto piacere che abbia vinto, tifavo per la sua Spagna, escluso ovviamente contro l’Italia. Ha dimostrato che qualcuno giudica a sproposito, con grande faciloneria, mi sono rivisto nel suo personaggio».
Politici, artisti, ora anche allenatori: la pensione è abolita?
«Nel nostro mestiere l’esperienza è un pregio, perchè non si fa attività fisica, solo mentale: l’allenatore non deve sudare, alzarsi presto. Il problema primario è gestire un gruppo di uomini ricchi e famosi e per questo si raggiunge il top a 60-70 anni».
Lei è fermo da un paio di stagioni, da quando a Livorno sostituì Roberto Donadoni.
«Perciò ho avuto il tempo di analizzare la mia carriera. Ripenso agli errori di gioventù, ho iniziato ad allenare a 31 anni, pensavo di essere bravo, invece quante cavolate ho fatto: a 40, a 50 anni, poi sempre meno».
In panchina non si invecchia proprio mai?
«La maturità è un pregio, non un difetto. La vita del tecnico è abbastanza comoda, con l’esperienza riesce a pilotare meglio la tensione e lo stress, affronta meglio i giornalisti. Non tutti a una certa età possono avere una buona salute, ma un 70enne che sta bene ha sicuramente qualcosa di più dei giovani».
Quando Lippi diede le dimissioni, due anni fa, davvero sognava di sedersi al suo posto?
«Avrei gradito rientrare nella rosa dei papabili, invece nessuno si era minimamente ricordato di me. Non ho avuto una carriera prestigiosa, eppure non ho fatto regali a nessuno. Il personaggio può essere piaciuto o meno, penso di avere dimostrato di essere all’altezza, adeguandomi all’evoluzione del gioco. Con i bravi calciatori ho vinto, sennò anch’io ho perso».
E Trapattoni, che a 69 anni sarà avversario dell’Italia, con l’Irlanda?
«Meraviglioso.

Magari non riuscirà a battere il mio record di mille e passa panchine in carriera, però non esiste al mondo un uomo così, che ha vinto in Germania, Portogallo, Austria e adesso allena un’altra nazionale. Non capisco perchè i giornali italiani, a parte proprio voi del Giornale, l’abbiano dimenticato. Il Trap non è morto, ha fatto grande se stesso e la figura dell’allenatore italiano in Europa».

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