"Il mio Madina alla Scala per dire basta alle guerre"

Il compositore del balletto con in scena l'ètoile Bolle «Storia di violenze sulle donne nel caos in Cecenia»

"Il mio Madina alla Scala per dire basta alle guerre"
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Una denuncia dei meccanismi della violenza durante un'occupazione di guerra: anche questo è «Madina». Lo spettacolo, nato a partire dal romanzo «La ragazza che non voleva morire» di Emmanuelle de Villepin, con la musica di Fabio Vacchi, adesso torna al Teatro alla Scala.

Sei serate da oggi (ore 20, info: www.teatroallascala.org) con l'étoile Roberto Bolle e Antonella Albano sul palco e Michele Gamba sul podio (compositore e direttore ne parleranno sabato in un incontro nella Scuola di lingua e cultura italiani della Comunità di Sant'Egidio). A qualche ora dal debutto, l'autore ha accettato di rispondere ad alcune domande.

Ritorna alla Scala «Madina», rispetto alle precedenti rappresentazioni cosa è cambiato?

«Sono stati resi espliciti tutti i riferimenti storico-geografici. La vicenda è ambientata in Cecenia durante la guerra fra indipendentisti ed esercito russo. Prima, tutto era stato universalizzato».

Uno spettacolo, più che mai, attualissimo...

«Da una parte abbiamo il discorso soggettivo di questa ragazza violata, dai violentatori occupanti, ma anche dalla sua famiglia. C'è tutta la violenza sul corpo e sul corpo femminile, che è un tema molto attuale su più fronti. Poi c'è un tema più generale, quello della spirale di violenza dove alla fine si perde il senso del chi ha ragione e chi ha torto, perché tutti hanno ragione e tutti hanno torto».

C'è un messaggio che in questo caso si vuole dare?

«Il compito della musica è quello di rendere particolarmente pregnante il testo. Il messaggio è molto chiaro: basta con la violenza e con la guerra, basta e ancora basta».

La musica strumento per indagare l'attualità, succede spesso?

«Credo che, sempre, gli artisti in modo esplicito o meno si occupino dei temi del proprio tempo. Il musicista manipola materiale espressivo per restituire quella che è la sua visione del mondo, in senso metaforico».

Ora entriamo nella sua opera...

«Ho scritto un'opera, da intendersi come il plurale di opus; nel senso che qui converge una serie di istanze, con il risultato di una rappresentazione, in senso generale. C'è un balletto, ci sono due cantanti che agiscono in prima persona e c'è un narratore in mezzo alla scena che interagisce con i danzatori; dunque, ci sono vari livelli. Come diceva Meyer questo è un oggetto misterioso».

C'è un fil rouge con il mondo dei balletti?

«Anche se si tratta di un lavoro composito e non si può definire Madina come un balletto e basta, sicuramente penso a certi spettacoli come Perséphone di Stravinskij, un punto di riferimento; oppure il Mandarino meraviglioso di Bartók e penso anche a Prokofiev».

Lei ha attraversato buona parte del '900, quali gli incontri che hanno lasciato il segno? E dove va la musica?

«Sicuramente, per me personalmente,

hanno lasciato il segno i compositori Berio e Ligeti. L'arte dei suoni? Si è divisa in mille rivoli; questi esistevano prima, ma dovevano restare sotterranei perché c'era un'autorità. Ora, la musica, va dove va l'umanità».

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