Curarsi da un tumore dovrebbe essere un diritto. Invece è sempre più difficile: prenotare una visita di screening negli ospedali pubblici obbliga a un'attesa di mesi ma nessun malato può aspettare tanto. E allora, chi può ricorre al privato o, quando è fortunato, usa i fondi assicurativi come paracadute. Chi non può, rinuncia.
Non c'è da scherzare: la commissione europea parla del cancro come di un'epidemia da combattere prima che, entro il 2035, provochi il 24% delle morti in più rispetto ad oggi e diventi la principale causa di morte. In Italia nel 2023 sono state 395mila le nuove diagnosi: un incremento di 18.400 casi in tre anni. E non è più il caso di usare la pandemia come unica colpevole del mancato screening.
La disparità nelle cure non è più solo una questione di territorio. Ma di portafoglio. Il ricorso alla spesa privata è in forte crescita, in un certo senso inevitabile. Dall'indagine sui costi sociali del cancro, condotta su 1.200 pazienti e altrettanti caregiver, promossa dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), è emerso che ogni paziente oncologico spende ogni anno 1.840 euro di tasca propria per prestazioni sanitarie, a cominciare dalle indagini diagnostiche, che dovrebbero essere a carico dei servizi sanitari regionali. Spendendo così tanto, spesso trascura la propria qualità della vita, compresa l'alimentazione sana. Il 22,5% dei malati va incontro a un costante impoverimento. E il rischio di morte cresce nei pazienti meno abbienti del 20%: si tratta del fenomeno della cosiddetta «tossicità finanziaria», che riguarda anche i cargiver, e che è una sorta di effetto collaterale non accettabile.
Il Piano oncologico nazionale 2023-2027 per affrontare i nuovi nodi delle cure anti cancro c'è da un anno ma non è ancora operativo. Perché le 125 pagine del documento diventino reali, va istituita la Cabina di regia nazionale, che si dovrà occupare del coordinamento dei servizi nelle varie regioni e anche del problema del personale sanitario, insufficiente per far fronte all'aumento dei casi. Entro il 2025 è previsto infatti un ammanco di oltre 43mila specialisti.
«Inoltre, analizzando gli importi dati alle regioni si evidenzia una grave incomprensione della rilevanza dell'assistenza oncologica - si legge nel rapporto Favo - Se alla Lombardia sono destinati 1,7 milioni all'anno, alla Basilicata ne sono assegnati 83mila: sono cifre insufficienti».
Altro nodo: il post tumore. Una volta guarito, il paziente non può essere abbandonato. In Italia la sopravvivenza per i tumori a 5 anni raggiunge il 60% e quasi 4 milioni di cittadini vivono dopo la diagnosi. Quindi è necessario garantire l'accesso ai programmi di riabilitazione. «La maggior incidenza e la possibilità di cronicizzare la malattia producono una continua crescita dei carichi assistenziali sottolinea Carmine Pinto, past president della federazione oncologica Ficog -. Ma nel piano oncologico nazionale non è prevista nessuna indicazione sulle risorse per coprire figure come i clinical study coordinator, gli psiconcologi, i nutrizionisti o i fisiatri».
Va affrontato anche il problema della fuga di medici all'estero: 140mila dal 2000 al 2022.
«Senza i professionisti cadono i capisaldi del sistema universalistico: equità e uniformità di accesso alla prevenzione, cura e riabilitazione afferma Paola Varese, presidente del Comitato Scientifico di Favo -. Dobbiamo partire dalle carenze e criticità attuali che, se non colmate, rischiano di far mancare medici e infermieri nei prossimi dieci anni».
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