Il mito del Prometeo incatenato, che rubò il fuoco per donarlo agli uomini. Il fuoco, chissà, dell'Era moderna, nel Ventesimo secolo metafora della musica nuova, che brucia, che Luigi Nono donò, a suo modo, al mondo. A cento anni dalla nascita del compositore veneziano - uno dei maggiori del Novecento, uno dei più politici e utopistici - (nacque il 29 gennaio 1924) la Biennale di Venezia ha varato un progetto speciale dell'Archivio storico delle arti contemporanee con il ri-allestimento della sua opera Prometeo. Tragedia dell'ascolto prodotta dalla Biennale stessa a metà anni Ottanta; lavoro che andrà in scena fino a domani, nella Chiesa di San Lorenzo, nella città Serenissima, dove si tenne peraltro la prima esecuzione assoluta.
Il «Prometeo»: una creazione, questa, che appartiene al periodo meno rosso-ideologico dell'autore. Che a un certo punto condannò, anche attraverso la sua arte sonora, la tirannia sovietica degli anni della guerra fredda, vedi il brano Quando stanno morendo. Diario polacco n° 2 del 1982. Due anni dopo, dunque, ecco la «tragedia composta di suoni, con la complicità di uno spazio», come disse lui stesso. Fu un evento memorabile che vide coinvolti nella preparazione e nell'esecuzione Claudio Abbado alla direzione dell'orchestra, l'artista Emilio Vedova e l'architetto Renzo Piano per l'allestimento di una sorta di non-scenografia, e ancora il filosofo Massimo Cacciari per il testo, con la regia del suono di Hans Peter Haller e Alvise Vidolin.
«Quella della Prima assoluta fu un giorno davvero affascinante, c'era molta aspettativa - ricorda il mago del suono noniano, Alvise Vidolin, che sarà, nella riedizione attuale, ancora in prima linea, come quarant'anni or sono - Un evento davvero unico che continua e continuerà. L'elemento centrale e innovativo fu dedicare tutte le energie verso una teatralità sublimata nell'ascolto, con una drammaturgia basata sulla forza che deve avere il suono». Interessante scoprire che cosa c'è dentro a una partitura che ancora oggi è materia di studio e osservazione. Pagine che ora sono finite nella mani di uno dei maggiori specialisti italiani di avanguardia e musica contemporanea, ovvero il direttore Marco Angius, che salirà sul podio a dirigere le rappresentazioni: «Aprendo la partitura - spiega il maestro - ci ho trovato la storia di Nono stesso, tutti i tipi di fonti, di sorgenti sonore che si possono immaginare. Le orchestre, le voci dei cori, i solisti, l'elettronica; è una specie di universo sonoro, che ha una caratteristica particolare, quella di non essere un'opera, né un oratorio, né un concerto». Insomma, più facile dire che cosa non è.
Forse, per definirlo, occorre ricorrere a immagini dell'astronomia, «è una specie di costellazione - chiosa Angius - oppure una macchina che ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio». E l'ascoltatore si trova al centro di questo cosmo. «Il pubblico - conclude - è immerso, accerchiato da voci e strumenti secondo una disposizione multipla».
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