Il film del weekend: DARK SHADOWS

Esce l’ultima opera dell’accoppiata Tim Burton-Johnny Deep, prevedibilmente eccentrica ma godibile e divertente

Il film del weekend: DARK SHADOWS

Ispirato all’omonima serie televisiva americana creata da Dan Curtis ed andata in onda a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, DARK SHADOWS è il nuovo film di Tim Burton e frutto della ventennale collaborazione del regista con la star planetaria Johnny Depp. 

Nel 1770 il ricco e incauto playboy Barnabas Collins incontra l’amore nella bella Josette ed in questo modo spezza il cuore della strega Angelique che si vendica trasformandolo in vampiro e seppellendolo. In maniera fortuita, due secoli dopo, Barnabas viene dissotterrato ed ha quindi l’occasione di fare la conoscenza dei suoi discendenti, non meno eccentrici di lui, e di tornare a vivere nell’ormai diroccata dimora di famiglia assieme a loro. Finirà con l’incontrare nuovamente, sia pure sotto altre spoglie, sia Josette che Angelique.

Siamo in piena poetica burtoniana, in cui horror e commedia si intrecciano con stile e leggerezza. L’universo immaginifico del regista è intatto ma arricchito di ammiccamenti continui, ora satirici, ora semplicemente citazionisti, ad una moltitudine di riferimenti: la Famiglia Addams, Dinasty, Twilight, La morte ti fa bella, Nosferatu e molti altri.

Il cast è una sommatoria di eccellenze, al punto che l’unico che appare meno incisivo è proprio il protagonista, Deep, nei panni, gli ennesimi, di una creatura surreale. Barnabas è una figura caratterizzata al punto da sfiorare la macchietta, un succhiasangue gentiluomo e un po’ dandy, dotato di cerimoniosa parlata ottocentesca, strambo quanto spaesato; in verità l’ennesima declinazione di un Deep già visto e rivisto. Su tutti giganteggiano, oltre alla maliarda ipnotica e mozzafiato Eva Green, la veterana Michelle Pfeiffer nel ruolo di una matriarca da soap opera e la versatile talentuosissima Cloeh Moretz che ne interpreta la figlia.

Data la coralità dell’opera, resta inesplorata una quantità di spunti; ma è giusto così, considerato che il film dura già fin troppo ed è talmente pieno di stimoli visivi e creativi da rischiare, se ulteriormente prolungato, l’effetto polpettone. Invece, per fortuna, ci si diverte diffusamente grazie soprattutto alla dicotomia tra le atmosfere gotiche di famiglia e lo stile colorato degli anni settanta, di cui si prende ironicamente in giro la componente estetica trash; assai funzionale a questo scopo la colonna sonora d’annata.

Si punta tutto sul grottesco e resta inesplorata la dimensione malinconica e romantica dei personaggi cui ci aveva abituato molta parte della filmografia di

Burton. Meno favola e più commedia, insomma. Altrove il regista ci ha voluti incantare, sorprendere e commuovere con la sua poesia, ma non qui. Stavolta sceglie di offrire spettacolo puro e divertissement di altissima fattura.

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