In «The Grey» tornano l'epica e il coraggio

La morte del padre annuncia all'Occidente la nascita della modernità: a Enea, che porta il vecchio Anchise sulle spalle per fondare una nuova civiltà, si sostituisce Amleto, che non sa rassegnarsi al lutto paterno ma che non ha la forza o la volontà di sostituirlo. Da allora, nonostante rivoluzioni politiche, confusioni di ruoli e mutamenti di costume abbiano cercato di rimuovere o addirittura cancellare la figura paterna, questa ritorna, sempre più forte. La sua assenza rivela un vuoto incolmabile, denunciato ormai non tanto e non solo da opere letterarie o teatrali, ma anche e soprattutto da film, a partire da Big Fish o Le invasioni barbariche fino ai recenti Take Shelter e Detachment e serie televisive come The Big Bang Theory o How I Met Your Mother. Il padre, come sa bene un altro eroe televisivo, Dexter, è il codice, la legge che va rispettata, anche a costo della vita, perché è esattamente ciò che dà senso alla vita, stabilendone il fine al di là della stessa.
Tutto questo, e molto altro ancora, è il tema principale di The Grey, un film appena approdato nelle nostre sale. Dominato da un Liam Neeson in grandissima forma, The Grey è una pellicola che sin dal titolo -il Grigio è un feroce lupo alpha- richiama il mondo aggressivo dell'istinto animale, rimosso da pedagogismi alla moda, con cui dobbiamo inevitabilmente fare i conti. Siamo in Alaska, ed è notte, quando un aereo di una compagnia petrolifera cade in mezzo a montagne inesplorate, lasciando i pochi sopravvissuti alla mercé delle intemperie e soprattutto di un banco di famelici lupi con cui sono costretti a fare i conti. Abbiamo già visto, nelle sequenze iniziali, la profonda differenza tra un solitario e taciturno Liam Neeson, che interpreta il cacciatore Jack Ottway, e i chiassosi e volgari operai con cui divide il lavoro: la diversità diventa abissale subito dopo il disastro aereo, quando bisogna affrontare, virilmente, la morte. Al ferito grave che sta per morire, il protagonista non nasconde ipocritamente il suo destino ma lo invita ad accettarlo stoicamente, tra l'orrore e la meraviglia dei suoi compagni. C'è spazio per la preghiera, ma ce n'è ancora di più per ammirare la natura, anche quando è mortalmente pericolosa.

Il film è un lungo viaggio iniziatico incontro alla morte, che va rispettata -non si spogliano i cadaveri!- ma non temuta. Bisogna fronteggiarla in piedi, combattendo, perché, come recita una poesia che è l'unico, sbiadito lascito del padre, «Si deve sempre affrontare la battaglia, e ogni giorno è un giorno buono per vivere o morire».

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