Con un decreto liquidità (o decreto imprese) il cui saldo sul fabbisogno statale è zero era scontato che arrivassero proteste e allarmi da parte delle associazioni imprenditoriali e dai liberi professionisti. Se a questo aggiungiamo che l'afflusso di finanziamenti alle aziende che ne faranno richiesta sarà mediato dalle istruttorie bancarie, ne consegue che la situazione già critica del sistema Italia rischia di aggravarsi ancor più.
Ecco perché Confimprese, l'associazione che rappresenta 350 brand commerciali (40mila punti vendita e 700mila addetti) presieduta da Mario Resca, denuncia già una situazione insostenibile dal punto di vista delle locazioni. «Chiediamo la rinegoziazione dei canoni calmierati nella fase 2 del post-emergenza, possibilmente solo sulla percentuale del fatturato fino a quando il mercato non si riprende», ha dichiarato Resca sottolineando che, secondo il Centro Studi Confimprese, il 90% degli associati ha revocato i bonifici automatici per il pagamento anticipato dei canoni d'affitto per il trimestre aprile-giugno. Di qui la richiesta di un credito d'imposta da riconoscere ai proprietari immobiliari per consentire la rinegoziazione a canoni più favorevoli dei contratti d'affitto a uso commerciale. A questo si aggiunge la necessità di ridurre gli acconti Irpef, Ires e Irap e abbattere le commissioni sui Pos. «Prevediamo che in tutta Italia il 30% dei negozi non riuscirà più ad aprire. Nel tempo spariranno molti retailer perché non ce la faranno a sopravvivere», ha concluso il presidente Resca.
D'altronde, anche al Giornale giungono ogni giorno segnalazioni da parte di imprenditori e lavoratori autonomi incerti sulla prosecuzione dell'attività se le condizioni per l'accesso agli aiuti rimarranno quelle finora previste. «Subisco un danno di 100mila euro, per ripianare dovrei chiedere i soldi a chi mi procura il danno e rimborsarli e in più pagare le tasse», scrive Flavio Vigna, titolare di una ditta di noleggio bus e di un'agenzia di viaggi a Novara con fatturato 2019 superiore ai 200mila euro cui le misure di distanziamento produrranno notevole nocumento alla ripresa dell'attività in quanto la capienza dei veicoli dovrà essere necessariamente ridotta. «Presento denuncia contro chi mi ha procurato il danno e poi vedremo», conclude. «Di concreto non è stato accreditato un solo euro ai soggetti che ne dovrebbero beneficiare, sempre per l'immancabile burocrazia», aggiunge Giuliano, lavoratore autonomo del settore delle autoriparazioni dalla provincia di Benevento, lamentandosi dei «proclami del governo che mette a disposizione (a chiacchiere) centinaia di miliardi».
Analogo allarme giunge dal Colap, coordinamento delle libere associazioni professionali. «Il 93% dei professionisti prevede una ripartenza delle attività fra 10 mesi e un ritorno ai fatturati precedenti entro 36 mes», denuncia la presidente Emiliana Alessandrucci chiedendo l'introduzione di un sostegno al reddito per 5 mesi (aprile-agosto) sulla base di una domanda unica nonché una semplificazione della cassa integrazione per le aziende sotto i 5 dipendenti.
Insoddisfatta anche Confindustria. Il Centro studi di Viale dell'Astronomia ha stimato in 30 miliardi di euro il fabbisogno di liquidità delle imprese se il lockdown terminerà a giugno che diventerebbero 80 miliardi in uno scenario pessimistico con fine epidemia a dicembre. Senza moratoria sui prestiti (efficace per le pmi libere da sofferenze), queste cifre salgono a 42 e 107 miliardi. Se si includono le imprese che già avevano problemi di liquidità, si arriva a 57 e 138 miliardi. Ecco perché Confindustria ritiene necessario un allungamento delle scadenze dei finanziamenti che saranno concessi tramite il dl imprese: sei anni sono pochi. Identico discorso per la Cna.
«Il governo faccia di più: abbiamo bisogno di liquidità assoluta, altrimenti si mette in moto un meccanismo di insoluti fra clienti e fornitori che metterebbe in ginocchio l'economia italiana», ha dichiarato il presidente Daniele Vaccarino.
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