La sfida dello Champagne: tutti a "lezione" di bollicine

L'ad Posca in campo contro il calo di consumi in Italia: "Serve la conoscenza. Basta paragoni con lo spumante"

La sfida dello Champagne: tutti a "lezione" di bollicine

Lo Champagne, oltre che un vino, è anche un tema che fa discutere. Riflessi sociali ed economici. Simbolo del lusso di cui godere, piuttosto che da dissacrare, specialmente in tempo di crisi. E poi l'eterna diatriba con i vicini che, oltre le Alpi, lo producono da 300 anni, mentre noi li inseguiamo con i nostri spumanti vari e quel complesso d'inferiorità che prima o poi salta sempre fuori. Allora ci prova una giovane manager italiana a fare muro ai luoghi comuni e a cercare una strada nuova, culturale e commerciale insieme: «Il mercato italiano dello Champagne è oggi il settimo al mondo - dice Mimma Posca, amministratore delegato di Vranken-Pommery Italia - ma fino al 2007 era addirittura il terzo in valore e il quarto in volumi, dietro a Inghilterra, Usa e Germania».

Per dare un'idea del calo dei consumi, basta dire che nel 2014 in Italia si sono stappate 5,8 milioni di bottiglie di Champagne, il 50% in meno di 7 anni prima. Vranken-Pommery puntava al traguardo ambito del milione di bottiglie. Ora ne esporta 350mila. Per questo l'impegno di Posca è recuperare posizioni e coinvolgere le più diverse fasce di consumatori in tutta la Penisola. Il che richiede la costruzione di un modo nuovo di consumare un vino che alla fine appare più «difficile» che caro. Fondamentale, in questa chiave, il ruolo del ristoratore. «Serve un approccio educativo - continua Posca - per avvicinare lo Champagne non tanto a un prodotto democratico, che non significa nulla, quanto a un prodotto da conoscere». Mentre, nello stesso tempo, va smontata l'abitudine di comparare champagne e spumante: «Sono stanca di sentire che quest'anno l'Italia ha superato la Francia per export di spumante. Non si può paragonare il Prosecco con il Metodo Classico: sono due modi totalmente diversi di ottenere vini non confrontabili. Il concetto chiave è quello di gusto, non di lusso». Lo Champagne è il bene considerato di lusso che più sta pagando la crisi, perché sostituito con prodotti considerati simili ma più accessibili: una tendenza che, per essere invertita, richiede passione ed idee.

Ma il gruppo passato nel 2002 da Lvmh a Paul François Vranken (che controlla anche Charles Lafitte e Heidsieck Monopole, produce Vini Rosé nel sud della Francia, Porto in Portogallo, ed ha acquisito proprietà in California, Napa Valley) non intende allentare la presa, anzi. Pommery, quotato in Borsa a Parigi e Bruxelles, con 323 milioni di euro di ricavi e 27,1 di utili netti, è il secondo operatore al mondo della regione Champagne.

Una delle iniziative più innovative di Pommery in Italia è quella di spingere il «calice» al ristorante, per renderlo accessibile e farlo conoscere. Mentre più a monte, Posca crede molto nella distribuzione diretta, per curare quasi personalmente la posizione finale del prodotto. Il mercato italiano resta fondamentale nelle strategie di Vranken-Pommery, tanto da aver inventato una bottiglia ad hoc, il Pommery Noir.

L'obiettivo è allargare gli orizzonti del palato: «Fuori dalla Francia lo Champagne è ancora considerata una bottiglia da occasioni speciali, vita notturna, mentre è un vino per tanti diversi momenti della giornata, anche quelli più informali che si rivelano vere e proprie esperienze di stile».

In questa chiave Pommery ha lanciato da tempo le bottiglie del Pop Pommery, da 20 cl, Champagne autentico ma in piccola dose. Quello che conta è il gusto.

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