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«Ci condiziona il gusto delle mamme»

La psicologa Laura Pirotta spiega come funziona la neuro-gastronomia

«La ricetta perfetta, che piace a tutti, non esiste. Ognuno di noi risponde al piatto con la parte emotiva del cervello e rivive il suo intimo». Questo uno dei primi insegnamenti che Laura Pirotta, psicologa specializzata in neurogastronomia, dà ai suoi allievi chef del Gambero Rosso.

Quindi nel piatto cerchiamo più dei ricordi che delle provocazioni?

«In un certo senso sì. Ad esempio, lo sa che l'odore di vaniglia attiva gli stessi circuiti cerebrali che vengono sollecitati se guardiamo una foto della mamma? Il legame con la mamma influenza il nostro rapporto col cibo: una mamma asfissiante ci ha levato il piacere della scoperta, una poco avvolgente magari ci ha fatto sviluppare un senso di ricompensa che cerchiamo nel cibo».

Cosa insegna agli chef?

«A stuzzicare tutti i sensi, sia quando preparano il piatto, sia quando lo descrivono nel menù. Paradossalmente l'olfatto viene considerato il senso di serie B, eppure è quello che passa dal cervello emotivo, è quello più legato ai ricordi. L'udito ama i suoni croccanti, immancabili nel piatto. E poi la vista, tenendo ben presente che ogni colore solletica un'emozione».

Per questo negli impiattamenti si usano spesso i fiori?

«Ci fanno tornare alla naturalità che dalla finestra non vediamo più. Sono molto usati i fiori viola, colore collegato all'immaginazione e alla saggezza, ciò che ha reso possibile l'evoluzione».

C'è qualche trucchetto da chef che non sappiamo?

«Il

piatto ovale evoca infinito, quello con gli angoli evoca tecnica e razionalità. Ogni chef deve tener presente che noi valutiamo irrazionalmente. E non solo il piatto, ma anche il modo in cui ci sentiamo al ristorante».

MaS

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