Il medico che resuscita dalla morte improvvisa

L’aritmologo Carlo Pappone è l’unico al mondo in grado di curare con un’operazione chi è colpito dalla sindrome di Brugada: "Ho fatto tornare in vita 275 persone, ora sono guarite per sempre"

Il medico che resuscita dalla morte improvvisa

La storia della sindrome di Brugada sembra la trama di un film horror: colpisce nel sonno, non ha sintomi apparenti, è come una bomba ad orologeria (programmata a nostra insaputa) che ferma il cuore, strutturalmente sano, in un solo secondo, quando meno ce lo aspettiamo. Un vero e proprio incubo che in Italia causa circa 50mila morti all'anno, soprattutto tra i quarantenni sani. Ma ora esiste un rimedio alla morte improvvisa. Si tratta di un intervento al cuore messo a punto da Carlo Pappone, responsabile dell'unità di Aritmologia clinica ed elettrofisiologia del policlinico San Donato, alle porte di Milano. Un'operazione che dura un'ora scarsa, quanto l'applicazione di un by pass, e che consiste nell'ablazione di una minuscola regione del cuore nel ventricolo destro. Tolta quella, la sindrome sparisce.

L'OPERAZIONE

«Ho resuscitato 275 persone - spiega Pappone, l'unico a effettuare questo tipo di intervento al mondo - Tre anni fa, quando abbiamo seguito il primo caso, il nostro atteggiamento era piuttosto prudente, eravamo sorpresi nel vedere una malattia genetica, che di solito colpisce tutte le cellule, concentrata solo in una piccola parte del cuore. Con l'operazione pensavamo di normalizzare l'elettrocardiogramma e basta. Ma oggi, dopo tre anni, possiamo dire con certezza che eliminare quelle cellule vuol dire eliminare tutte le possibili aritmie e vuol dire non far più rigenerare la malattia». I primi ad essere scettici sulla cura di Pappone furono gli stessi fratelli Brugada, spagnoli, che nel 1992 diedero il nome alla sindrome della morte in un secondo. «La malattia non ha cura, non illudiamo i pazienti» avevano tuonato. Oggi, dopo tre anni, sembrano non aver più nulla da ridire. I risultati ci sono e iniziano ad essere rilevanti, tanto da essere stati oggetto di una pubblicazione sulla rivista scientifica Circulation, la seconda. «Il mio intervento guarisce i pazienti per sempre» sostiene Pappone che annuncia un nuovo obbiettivo: fare in modo, nell'arco dei prossimi tre anni, di levare il defibrillatore a chi è stato operato. Lo specialista del cuore sta effettuando uno studio su 150 pazienti e, in base ai risultati, proporrà di cambiare le linee guida post operazione. Nel frattempo continua a operare pazienti provenienti da tutto il mondo: dall'Australia alla Germania, dagli Stati Uniti all'Inghilterra. E un'équipe a Los Angeles sta iniziando a proporre lo stesso intervento. È enorme il tam tam tra i malati «rinati» e le persone che hanno precedenti in famiglia e temono di poter essere colpite da quel secondo fatale. È stato creato un forum tra chi è già stato operato, esiste una pagina Facebook (Sindrome di Brugada) e spesso chi vuole avere informazioni sull'intervento salva-vita si rivolge alle chat.

GLI INDIZI DA APPROFONDIRE

Come prevenire la malattia fantasma? Innanzitutto bisogna capire se si hanno dei precedenti in famiglia: uno zio, un nonno che è morto improvvisamente ma non si sa perché. E a volte, ma non sempre, basta un elettrocardiogramma per valutare il rischio. «L'ideale però - spiega Pappone - sarebbe fare l'elettrocardiogramma durante la notte, solo così l'esame mostrerebbe la malattia che, altrimenti, è impossibile vedere di giorno. Proprio per questo si effettua il test all'ajmalina, un farmaco che simula un momento critico della malattia svegliando le cellule anomale che il paziente ha nel cuore. Ovviamente il test va effettuato in ambienti in cui si è in grado di controbilanciare gli effetti collaterali».

Gli ultimi studi sulla sindrome di Brugada rilevano anche che non sempre la malattia ha chiare origini genetiche. «Nel 25% casi - spiega Pappone - c'è un'eredità genetica inequivocabile, ma nel 75% non sappiamo la causa, supponiamo una componente genetica che non si legge ancora negli esami. Tuttavia non escludiamo ci siano fattori non genetici che creano nuovi pazienti». In sostanza, a volte c'è un indizio su cui lavorare, a volte no. Per questo la differenza, per chi è stato colpito dalla sindrome di Brugada, l'ha fatta chi è intervenuto nei primi minuti dopo l'attacco.

Se un soccorritore è in grado di effettuare un massaggio cardiaco e se, nel giro di poco tempo, qualcuno interviene con un defibrillatore, allora ci sono buone speranze di arrivare in sala operatoria per l'ablazione del «nido» delle cellule che provocano l'arresto cardiaco. Altrimenti il destino è segnato. «Saper effettuare un massaggio al cuore - sostiene Pappone - è un atto di educazione civica».

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