Perché solo 3 malati su 10 curano la maculopatia

Maria Sorbi

Sono quasi un milione i pazienti affetti da maculopatia e tra loro 80mila soffrono di forme acute rischiando la cecità. Il motivo? L'accesso alle cure è ancora molto complicato. L'allarme è stato lanciato dalla Società oftalmologica italiana, che da anni sollecita il ministero della Salute perché garantisca a tutti i pazienti le terapie salva vista. E che sprona l'Aifa, l'agenzia del farmaco, a rendere facilmente disponibili i farmaci che guariscono i diversi tipi di maculopatia, eliminando le limitazioni burocratiche che impediscono a 100mila pazienti di curarsi. Le terapie si devono effettuare esclusivamente in ospedale e ad oggi vengono prescritte solo dal 2% dei 7mila oculisti italiani. «Significa che il 70% delle persone affette da maculopatia non si cura adeguatamente - spiega Matteo Piovella, presidente della società di oftalmologia e direttore sanitario del centro di microchirurgia ambulatoriale di Monza -. Per recuperare i pazienti che rischiano la cecità è necessario cambiare alcune regole, meramente burocratiche. Cioè bisogna spostare i farmaci necessari (Avastin, Lucentis, Eylea e Ozurdex) dalla fascia H, quella dei prodotti utilizzabili solo in ospedale, alla fascia A. In questo modo la terapia sarebbe applicabile anche nelle sale operatorie degli ambulatori di oculistica, dando la possibilità a tutti gli oculisti di tornare a curare i pazienti come avveniva prima delle astruse limitazioni approvate dall'Aifa».

L'Italia è l'unico Paese dove si assiste ad una diminuzione del numero di terapie intravitreali: in Inghilterra si effettuano 1,1 milioni di iniezioni anti maculopatia all'anno, in Germania 1,5 milioni, in Francia 1,2 milioni. In Italia invece i numeri precipitano a 300mila. Come mai? Molti oculisti dubitano ancora dell'efficacia del farmaco. E anche l'Aifa non scioglie le riserve. «Eppure - aggiunge Piovella - in favore dei due farmaci si sono pronunciati sia il Tar del Lazio sia l'Antitrust. E anche la Corte di giustizia europea sostiene la sicurezza e l'efficacia dei due farmaci, Avastin e Lucentis, definendoli equivalenti. Ma finché l'Aifa non emanerà una delibera per cambiare la categoria dei due tipi di fialette, allora le iniezioni saranno disponibili solo in pochissimi ospedali italiani. Quando invece nel resto del mondo, dall'Europa al Giappone, agli Stati Uniti, la terapia viene applicata ovunque senza dubbi.

LA GUERRA LEGALE

Dietro ai tentennamenti c'è una lunga storia, farmacologica e giudiziaria, cominciata nel 2007, anno in cui si scopre, per caso, che l'Avastin, farmaco creato per il tumore al colon, in realtà è in grado di curare la maculopatia e tornare a far vedere pazienti con gravissime limitazioni alla vista. Poco dopo sul mercato esce un nuovo prodotto, equivalente per efficacia e sicurezza: il Lucentis. Per lanciarlo la casa farmaceutica sostiene che, a differenza dell'Avastin, questo non sia pericoloso. Ne nasce una guerra tra avvocati e commissioni di esperti, per poi arrivare a dire che tra i due prodotti non esistono differenze né controindicazioni di utilizzo. «Insomma - spiega Piovella - Avastin si può usare con sicurezza creando un grande risparmio per il sistema sanitario. Ogni singola dose costa 15 euro, contro i 1.200 euro del Lucentis nel 2014».

Unica accortezza per il loro utilizzo è somministrarli in sala operatoria per evitare il rischio di infezioni dopo la loro applicazione. La società degli oftalmologi sostiene che anche le sale operatorie degli ambulatori oculistici, e non solo quelle ospedaliere, siano certificate e adatte a prevenire le eventuali complicanze. Oltre al trattamento con i farmaci, contro la maculopatia sono allo studio trattamenti sperimentali con applicazioni laser ma che necessiteranno di alcuni anni prima di poterne evidenziare la sicurezza e l'efficacia.

LE PREVISIONI

A giudicare dai dati e dalle proiezioni sul futuro, c'è da sperare che gli inghippi burocratici vengano sciolti al più presto liberalizzando la prescrizione dei farmaci. La degenerazione maculare legata all'età è attualmente considerata la prima causa di cecità nei Paesi di maggior benessere e la terza in assoluto. Indicativamente il 5% della cecità mondiale è dovuto alla maculopatia dovuta all'età, una percentuale che sale al 41% nei Paesi ricchi.

Si prevede che, nel 2020, circa 196 milioni di persone saranno colpite da degenerazione maculare, una cifra che probabilmente è destinata a crescere con l'invecchiamento demografico mondiale (soprattutto nei Paesi di maggior benessere). L'incidenza della patologia è rara prima dei 55 anni, ma aumenta soprattutto dopo i 75 anni.

La forma più grave della malattia, detta «umida», è meno frequente e a più rapida evoluzione ma è l'unica considerata trattabile. In Italia, interessa quasi un milione di persone, il 20% della popolazione over 55, dei quali una percentuale tra il 5 e l'8 per cento ha una forma avanzata.

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