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La mia Ferrara torna di serie A. Finita la penitenza del pallone

Un evento epocale per noi che l'abbiamo vista grande da ragazzi. In attesa di rilanciare anche la città d'arte

La mia Ferrara torna di serie A. Finita la penitenza del pallone

Che il Rinascimento sia non nella retorica della direzione prevista: Ferrara città d'arte, Ferrara città dell'Ariosto, Ferrara sito dell'Unesco. Poi accade che un'improvvida direttrice che governa la Pinacoteca nazionale di Ferrara dalla prevalente Galleria estense di Modena annunci a tradimento e alle spalle del ministro, che è pur sempre di Ferrara, che la raccolta con i capolavori del Rinascimento, di Ercole de Roberti, di Dosso Dossi, di Bastianino, di Scarsellino resterà chiusa tre giorni la settimana. Sembra inverosimile, eppure è accaduto, mentre tutta la città parla del Rinascimento prossimo che per le classi colte è quello che ho ricordato e invece per il popolo è la squadra di calcio, la Spal, in serie A. Un trionfo inatteso, in tempi tristi e difficili. Una circostanza epocale che cade dopo mezzo secolo di penitenza.

Fondata nel 1907, la Spal fu una grande squadra nei primi anni del fascismo, tra il 1922 e il 1923. Dopo alterne vicende la ritroviamo in serie A nel 1950-51 e per tutto il tempo della mia infanzia e della mia adolescenza, fino al 1964. Ero bambino e tifoso di questa romantica squadra con la maglietta azzurra e bianca fin dal 1959, quando l'eroe della squadra fu Oscar Massei, il mito parallelo al Sivori della Juventus, all'Altafini del Milan, al Mazzola dell'Inter. Fra gli altri mi colpì, veloce centrocampista, Carlo Dell'Omodarme.

Dopo la mia adolescenza, e soprattutto dopo il 1968, la squadra retrocesse in serie B e iniziò un'inarrestabile discesa, ragione di cruccio e di sconforto per i tifosi. Furono lunghi anni di serie B e poi anche di serie C. Si aprì l'abisso: C1 e C2 e vani tentativi di risalire. E invece, d'improvviso, ecco la rinascita. La squadra ritrova l'orgoglio. Le ore della disperazione sono lontane, e arriva il giorno della felicità e del sereno, non per il glorioso passato ma per un imprevedibile e conquistato presente.

La città umiliata, che non ha reagito neppure al fallimento della sua storica banca, oggi si ritrova in una condizione nuova e non per capacità o volontà di politici, neppure il potente ministro che ha scelto, per tradizione municipale e famigliare, il dicastero della Cultura. Ma per l'energia di una squadra sportiva, determinata e coraggiosa. Per paradosso, negli anni della decadenza non a un ministro, ma a un maestro - Franco Farina -, toccò di far crescere Ferrara, con l'arte contemporanea che diede nuovo lustro a Palazzo dei Diamanti. Il bambino che io ero voltò la pagina del calcio e delle figurine, sempre più lontane dall'Olimpo dei grandi, per compiacersi di un nuovo primato nelle grandi mostre, prima di ogni altra città.

Sono felice ora per il ritorno della Spal, non come può esserlo ogni cittadino e ogni città per le conquiste della sua squadra, ma perché la Spal è la mia squadra di bambino, di quegli anni '50 e '60 di un'Italia povera e contadina che aveva la sua speranza e le sue soddisfazioni nel successo della squadra.

Mauro Malaguti ha scritto: «In anni certamente più difficili ma anche più pieni di folle speranza e di aspettative nel domani, Ferrara viveva vigilie e momenti come quelli odierno, impossibile non restarne contagiati, incredibile la carica che i successi della squadra locale regalavano alla città intera anche al di fuori delle quattro mura dello stadio. Chi ricorda quell'ondata la sta rivivendo». Alla «grande bellezza» della città morta si sostituisce un grande sogno.

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