Cultura e Spettacoli

Requiem per Buscaroli, italiano contro

Intellettuale eretico, "fascista deluso", visse sempre dalla parte dei vinti. Litigando con tutti

Requiem per Buscaroli, italiano contro

Litigava con tutti, Piero Buscaroli, litigava anche con i suoi estimatori e quindi ha litigato anche con me che lo avevo intervistato in modalità venerante siccome lo consideravo, e lo considero tuttora, un maestro. Litigava con tutti perché tutti coloro che lo circondavano avevano la grave colpa di essere italiani. E per lui i suoi connazionali erano quanto di peggio l'Europa avesse mai generato: «Trattandosi di italiani, non ci si possono aspettare esiti veloci in materie come l'onore nazionale e la morale» scrive in Dalla parte dei vinti che è uno dei suoi libri importanti, miracolosamente pubblicato da Mondadori. Dico miracolosamente perché nemmeno con gli editori andava d'accordo, ci mancherebbe, e perché non è facile trovare una grande casa editrice disposta a pubblicare un simile giudizio sulla resistenza: «Senza il 25 Luglio non ci sarebbero stati lo sbarco di Salerno e l'infame catena di assassinii che i coglioni chiamano guerra civile e che fu la guerra inventata e imposta dal partito comunista».

Buscaroli ha odiato gli italiani per oltre settant'anni ovvero dall'Otto Settembre quando appena tredicenne vide disfarsi la nazione. Si trovava a Imola dov'era nato nel 1930 e all'età in cui oggi si ascolta Justin Bieber e si pensa al primo tatuaggio vide morire amici e famigliari e vide tradire Mussolini e Mussolini tradire, o comunque amaramente deludere, e decise di mettersi al fianco del padre Corso, latinista cinquantenne che stoicamente accettò la responsabilità del fascio repubblicano cittadino, scelta che dopo la guerra pagò con anni di carcere. Non la chiamo guerra civile perché altrimenti Buscaroli dall'al di là cataloga come coglione anche me, non la chiamo guerra di liberazione perché non si può chiamare liberazione un'invasione, la chiamo anodinamente Seconda guerra mondiale ed era il tempo delle stragi come quella di Arcevia, paese delle Marche in cui i partigiani comunisti «sterminarono una famiglia di anziane ricamatrici, accusate di essersi fatte ricche col loro lavoro, e quindi nemiche del popolo. Una scena rituale, incredibile e assurda, le anziane cucitrici, i parenti e amici condotti in fila per due a uno spiazzo apposta aperto sulla strada statale, e ivi immolati col dolente assenso del nuovo sindaco e la cittadinanza tutta nascosta, all'italiana, dietro le persiane». Fonte del virgolettato è sempre Dalla parte dei vinti ma di libri ne ha scritti tanti, Buscaroli, e non solo di storia. Era un grande musicologo, anzi, siccome mi sovviene che non voleva essere definito tale mi correggo e lo definisco un grande storico della musica riferendomi al suo libro su Bach, al suo libro su Brahms, al suo libro su Mozart e soprattutto al suo libro su Beethoven che confesso di non avere letto sia perché in quel 2004 ascoltavo Jan Garbarek e Giovanni Lindo Ferretti sia perché la mole, 1.358 pagine, ebbe la meglio sulla mia ammirazione. Paolo Isotta ha definito il gran tomo meraviglioso e questo mi basta, meraviglioso lo sarà senz'altro.

Buscaroli aveva studiato organo a Bologna e poi aveva insegnato in vari conservatori, Torino, Venezia, Bologna, trovando il tempo di collaborare col Borghese di Leo Longanesi, uno dei pochi personaggi verso il quale non manifestò mai disprezzo (parlava male perfino di Massimo Cacciari e il perfino non è riferito a un'infondabile intoccabilità intellettuale del filosofo veneziano ma al fatto che, incredibile ma vero, Cacciari era suo cugino). Nei primi anni Settanta fu direttore del Roma, quotidiano che a dispetto del nome veniva pubblicato a Napoli, proprietà del molto controverso e molto autoritario Achille Lauro, a riprova che a Buscaroli davvero non piaceva la vita comoda. In seguito fu critico musicale del Giornale ma io ne scoprii l'esistenza sulle pagine del più seminale dei libri sgarbiani, Dell'Italia, in una sezione dedicata a eccentrici ed esteti quindi tra Franco Maria Ricci, la marchesa Casati e Massimo Listri. Me ne invaghii e corsi a leggere tutto Il poco in quel periodo reperibile in libreria.

Ricordo Paesaggio con rovine che aveva un'epigrafe da brivido: «Formica solitaria di un formicaio distrutto / dalle rovine d'Europa, ego scriptor». Parole ovviamente di Ezra Pound e identificazione altrettanto ovvia di Buscaroli, solitario scrittore. E poi La vista, l'udito, la memoria, uscito in una collana molto opportunamente intitolata «La torre d'avorio», dove col suo italiano magistrale impartiva lezioni non solo di storia e di musica, anche di arte. Lo riprendo in mano e ci ritrovo la dedica che mi fece nel buen retiro di Monteleone, sulle colline sopra Cesena. Non scrisse 16 luglio 2002, la data ordinaria, bensì 17 luglio 2.755 u.c.

Perché, se ancora non lo si è capito, ieri non è morto un moderno italiano, è morto un antico romano, un uomo che con questa Italia (ma ce ne sono altre?) proprio non poteva andare d'accordo.

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