Cultura e Spettacoli

"Dal 2084 islamico non c'è scampo: siamo già sottomessi"

Un mondo desolato e senza libertà, l'Abistan, dominato dalla religione: l'autore algerino parla del suo romanzo, ispirato a Orwell (e al suo Paese)

"Dal 2084 islamico non c'è scampo: siamo già sottomessi"

«Sì, in effetti in Francia il mio libro è andato bene...». Boualem Sansal sorride, è in una strada del centro di Roma a «prendere un po' d'aria», e il vento gli fa svolazzare i capelli lunghi e grigi sugli occhiali, sulla faccia. Sorride anche quando dice che «è vero, mia moglie in Algeria ha avuto dei problemi, non può più insegnare». Per colpa sua? «Sì, per colpa di quello che scrivo, di quello che dico». Sorride e rimane tranquillo, incredibilmente tranquillo, ma come fa? «E che altro posso fare?» dice lo scrittore algerino, 66 anni, una serie di libri in cui ha criticato il fondamentalismo islamico fino all'ultimo, 2084. La fine del mondo (appena uscito in Italia, pubblicato da Neri Pozza) che in Francia è stato un caso e ha vinto anche il Grand Prix du Roman de l'Académie française. È il Grande fratello di Orwell, un secolo dopo, islamico: il mondo dell'Abistan, dove donne e uomini girano coperti dal burni, dove si vive fra delazioni, lapidazioni, guerre sante e manipolazione mentale, dove l'unica legge è il Gkabul, la parola non caritatevole del dio Yölah e del suo Delegato, Abi, fatta rispettare dall'Apparato e inculcata con una lingua nuova, l'abiling. Solo Ati, l'ateo protagonista, si lascia sedurre dalla ribellione del pensiero e della libertà fra desolazione, rovine, fame, bruttezza. «Perché quando si distrugge l'umanità che c'è nell'uomo, allora si distruggono anche la bellezza, la ragione e l'amore».

Ma perché ha scritto un libro così duro e fosco?

«Perché la realtà è dura e fosca. E perché vivo in un Paese dove tutti siamo chiamati in causa direttamente, minacciati dalla situazione. È il mio modo di difendermi da questa situazione».

Di quale situazione parla?

«Ha grandi punti di contatto con quello che succede in Siria e in Irak: quello che succede lì viene conquistando sempre più aree e Paesi, per esempio la Libia. E si esprime nel terrorismo».

È pessimista?

«Lo sono, però non è la parola giusta... Piuttosto mi sforzo di fornire una analisi lucida della realtà. È la situazione che è così».Vede arrivare il 2084?«È sempre un romanzo, la realtà è ben più complessa. Però la situazione è dura e drammatica. Faccio l'ipotesi che quello che abbiamo visto in Afghanistan, in Algeria, in Mali si evolverà e assumerà forme diverse».

Tutti i Paesi saranno islamizzati?

«Se l'Italia sarà islamizzata, possiamo dire fin da ora che l'islamismo di marca italiana non sarà quello afghano. Ma come sarà è impossibile dirlo».

Ci sono segnali?

«Per esempio, in Francia osservo quello che si sviluppa in certi quartieri di certe città, come Parigi e Lione: è una situazione assolutamente affine a quella che si vede in Egitto o in altri Paesi del mondo arabo musulmano. L'islam in ascesa in quei quartieri è lo stesso che da noi in Algeria».

Ma perché l'islam ha così presa?

«Questa è una grossa domanda. Ha presa dappertutto nel mondo, ormai. Una presa fortissima, e non solo sulle persone più sprovvedute di mezzi intellettuali e materiali, ma anche su quelle abbienti e formate, con educazione e cultura. Questo è ciò che è più sorprendente. Perciò si può pensare che dietro l'ascesa dell'islam ci sia una strategia, molto intelligente, perché riesce là dove il marketing e la pubblicità non riescono a fare presa».

L'Europa è debole? O lo è tutto l'Occidente?

«L'Occidente è un'astrazione. Parliamo dell'Europa, che è una realtà, geografica e culturale. Ecco, io la vedo in uno stato di notevole malattia, dal punto di vista dell'economia, dell'organizzazione della società e sotto il profilo esistenziale. Per me oggi l'Europa è il luogo più fragile del mondo».

Possiamo fare qualcosa per evitare il 2084?

«Senta, non ci credo tanto. Forse potremmo fare in modo che non sia troppo grave, ma è una evoluzione in atto, e grave sarà comunque. Del resto come la si ferma, visto che non siamo riusciti a fermare le crisi delle migrazioni e quella siriana? Non escludo che possiamo trovare una soluzione, ma per ora non ce ne sono».

Ma la fede è per forza legata alla paura e alla guerra?

«Certo. Se non avesse paura, l'essere umano non avrebbe bisogno di inventare Dio. E se uno ha fede, allora per forza si immagina dei nemici: e se c'è un nemico bisogna fare la guerra. È una concatenazione inestricabile».

In 2084 dice che la sottomissione è più importante della fede. Perché?

«La fede è sottomissione. Quando ci rappresentiamo una entità superiore, il solo modo per esprimere la fede verso questo padrone è sottomettersi. Ha visto le dinamiche di branco nelle scimmie?».

Che cosa fanno le scimmie?

«Ognuna va dal capobranco e si sottomette. Credere è sottomettersi, e il non credente non ne ha bisogno».

Quindi lei non crede?

«No, non credo, se si intende una credenza religiosa. L'uomo che non crede non ha paura: può vivere come gli piace, come i bambini. Certo è assai difficile che l'uomo non abbia una fede. Se non crede nella religione, si inventerà una ideologia. E, di nuovo, finirà nella stessa situazione».

Nel romanzo la lingua è centrale, come strumento di potere.

«Certo. La lingua è tutto. È un mezzo di comunicazione, di diffusione della cultura, di formattazione delle persone e della società. Chi detiene la lingua detiene il potere. Infatti nella storia gli Stati hanno sempre cercato di controllare la lingua nazionale».

E la religione?

«È lo strumento per indottrinare il popolo, è cruciale. La socializzazione passa attraverso la lingua. Per esempio, nelle banlieue francesi la lingua di comunicazione usata non è quella nazionale: è l'arabo, o una sorta di gergo».Che significa?«Che lì la socializzazione avviene in modo diverso rispetto al resto del Paese. Che ci sono molte persone, soprattutto giovani, fuori sincrono. Perciò la risocializzazione per eccellenza è insegnare la lingua nazionale».

In Abistan la dittatura inventa una lingua artificiale. Perché?

«Basta un vocabolario di cento parole per trasformare un gruppo di ragazzi in soldati, gente a cui dici: vai a uccidere e loro lo fanno; vai a farti uccidere, e lo fanno. Nell'Abistan è uguale: chi è al potere sa che basta una piccola lingua da inventare affinché le persone si sentano obbligate a usarla. Una piccola, non una grande, che possa esprimere riflessione, pensiero, ricerca...».

Si è ispirato alla neolingua?

«Orwell ha capito bene il rapporto tra lingua e potere, con la neolingua. Io ho fatto la stessa cosa: i poteri religiosi si impadroniscono della lingua, una lingua fatta solo per ripetere sempre le stesse frasi. Però, per imparare questa piccola lingua, devi fare la guerra alle altre; altrimenti, non sia mai, la gente potrebbe continuare a pensare».

Che differenza c'è tra islam e islamismo? È paura di offendere o una deriva vera?

«Entrambe le cose. Islam e islamismo sono lo stesso discorso. L'unica diversità è nel metodo: il musulmano fedele può essere pacifico, l'islamista non lo è. Questa è forse l'unica differenza».

Ha iniziato a scrivere tardi, a cinquant'anni. Come mai?

«È stata la guerra civile degli anni '90 nel mio Paese che mi ha spinto a scrivere. È stato il mio modo di impegnarmi politicamente e di denunciare quelli che avevano messo il mio Paese a ferro e fuoco, i militari e gli islamisti».

E per questo è anche perseguitato. Non ha mai paura?

«Mi sono fatto dei nemici potenti, che non me la perdonano. Da allora la mia vita è difficile. Sono stato fatto fuori dal mio lavoro, mia moglie ha perso il suo, sono insultato e minacciato. Bisogna vivere con tutto questo».

Ma con la Primavera araba è cambiato qualcosa?

«Il bilancio delle Primavere arabe è disastroso. Hanno distrutto i Paesi arabi, aperto la strada agli islamisti, rinforzato la dittatura dei militari e la piaga degli oligarchi».

Moriremo islamici?

«È cominciata una fase in cui le persone non diventano musulmane, ma si sottomettono. Già ci siamo, ma ci entreremo sempre più profondamente. Pensa che tutti i sauditi siano veri wahabiti? No, ma per paura e tradizione si sottomettono».

Succede anche in Europa?

«Avviene lo stesso processo di sottomissione: per paura, per educazione, per timore di offendere o per convenienza e interesse. Pensi alla visita qui da voi, a Roma, del presidente iraniano: l'idea di coprire le statue nude è una prova di sottomissione. Per idiozia, per paura, per piccola politica.

Il processo nel mio Paese è già compiuto, da voi in Europa avanza a grandi passi».

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