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AAA. Vendesi passaporto Il nuovo affare di Vanuatu

Per sostenere l'economia l'arcipelago del Pacifico offre cittadinanza per 130mila dollari. Un boom

AAA. Vendesi passaporto Il nuovo affare di Vanuatu

Altro che Recovery Found e Mes. In questi tempi pandemici per sostenere l'economia di un Paese c'è solo un modo: vendere passaporti. Soluzione che non potrà andare bene per tutti, chiaro, ma nel caso dell'arcipelago melanesiano di Vanuatu sta funzionando egregiamente. Secondo l'agenzia Reuters nonostante il turismo che vale il 40% del Pil sia fermo, nei primi sei mesi dell'anno la bilancia economica del piccolo Stato del Pacifico ha fatto registrare un surplus di 3,8 miliardi di vatu, circa 35 milioni di dollari. Tutto grazie al sostanziale aumento della vendita di passaporti, che per quest'anno si prevede possa rimpinguare le casse dell'arcipelago con circa 70 milioni di dollari. Un gruzzolo che in questi mesi d'emergenza sta evitando alle piccole Vanuatu di indebitarsi ancor più con i paesi donatori, Australia e soprattutto Cina, come invece sta accadendo alle altre micronazioni del Pacifico. Non male come risultato per un Paese largamente agricolo che lega un terzo delle sue esportazioni alla vendita di copra, la polpa essiccata del cocco. Da qualche anno un altro abbondante terzo delle entrate arriva invece dalla vendita dei preziosi passaporti verdi stampigliati con il simbolo del guerriero melanesiano. Un business iniziato nel 2014 per sostenere l'economia zoppa di un Paese di 300mila abitanti con un reddito pro capite di 3mila dollari. Allora si era detto che i soldi così guadagnati sarebbero serviti a sostenere la ripresa dopo il ciclone Pam, ma per la maggioranza dei cittadini la situazione non è cambiata di una virgola.

A essere cambiate, e di molto, sono le vite dei quasi 5mila nuovi cittadini di Vanuatu. Persone che senza aver mai messo piede nel Paese ne hanno ottenuto la cittadinanza. Merito del programma Citizenship by investment che assicura la nazionalità a chi investe nell'arcipelago. Un bel privilegio visto che il passaporto verde permette di entrare in 130 Paesi senza dover richiedere visti, tra questi tutta l'area Schengen, la Gran Bretagna, Hong Kong e la Russia. L'investimento è di facciata, nel senso che basta versare i 130mila dollari (che diventano 180mila per una famiglia di 4 persone) e si diventa cittadini in 30/60 giorni. L'unico diritto che non si acquisisce è di votare, o essere eletti, per il resto zero tasse e buon viaggio. Nel solo 2018 sono stati emessi 1.800 passaporti, la maggioranza dei quali cittadini cinesi. Persone che così facendo dovrebbero rinunciare alla cittadinanza cinese, visto che Pechino non ammette la doppia nazionalità, ma a quanto pare i mandarini del partito per ora chiudono un occhio perché strategicamente sono più interessati a coltivare i buoni rapporti con l'isola al cento delle rotte commerciali del Pacifico. Come numeri i cinesi sono seguiti a ruota dai russi e dagli iraniani, tutti Paesi che necessitano di un visto per entrare nell'Unione Europea che può esser complicato avere anche per chi ha molti soldi.

Quella della vendita dei passaporti è ormai un'industria che secondo il New York Times muove un giro d'affari di venti miliardi di dollari l'anno. Soldi che pesano tantissimo nell'economia di certi microstati insulari dei Caraibi e di Vanuatu, che per ora rimane l'unica nazione del Pacifico a vendere la cittadinanza. Il primo Paese al mondo a venderla è stato St. Kitts e Nevis nel 1984, un anno dopo l'indipendenza dalla Gran Bretagna: il programma Citizenship-by-Investment dove Investment è in realtà un modo gentile per dire: versa 150mila dollari e non serve neanche che tu abbia mai messo piede nella capitale Basseterre è una voce importante dell'economia del Paese caraibico. E proprio i Caraibi sono l'epicentro di questo commercio: ad Antigua e Barbuda e St. Lucia la cittadinanza costa solo 100mila dollari, a Grenada e in Dominica intorno ai 150. A offrire un passaporto in cambio di soldi ci sono anche Cipro e Malta, dove però la cittadinanza si conquista dimostrando di aver davvero investito nel Paese. Nel caso di Cipro, almeno 2 milioni in bond, o la creazione di una società che valga due milioni di euro e impieghi almeno 5 persone, oltre a una donazione a fondo perduto di 75mila dollari a una fondazione dell'isola. Meno per Malta: una casa del valore di almeno 350mila euro, un investimento di 150mila in bond maltesi e una donazione di 650mila euro al Fondo per lo sviluppo economico e sociale maltese. E con soli 25mila a testa, il passaporto arriva anche per moglie e figli minorenni. Insomma, un affare.

Oltre a questi Paesi da banane, ben venti Paesi dell'Unione offrono un permesso di residenza di lunga durata (il cosiddetto Golden Visa) a chi investe nell'economia locale. Si va dai dieci milioni di investimenti al netto dell'acquisto di immobili dell'Austria all'acquisto di una abitazione del valore di almeno 350mila euro del Portogallo. Visto che dopo qualche anno porta all'agognato documento: dai 5 anni del Portogallo (dove bisogna dimostrare di aver passato almeno una settimana l'anno) ai dieci di Spagna e Lettonia, che però come la Grecia richiede che si passi un difficile esame di lingua lettone e che si dimostri di aver vissuto nel Paese al punto di saper cantare l'inno nazionale.

In un mercato di questo genere il passaporto di Vanuatu, rapido, economico e senza richieste strane, diventa allora appetibile e quasi economico. La cosa curiosa è che fino al 1980 gli abitanti dell'arcipelago non avevano diritto ad alcun passaporto. Fino a quella data infatti le 80 isole che compongono le Nuove Ebridi erano uno strano condominio anglo-francese e le due potenze coloniali non concedevano agli isolani un vero e proprio passaporto, ma solo dei permessi di espatrio.

Ironia della sorte una nazione di ex-apolidi si è messa a vender passaporti.

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