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Addio a bomber Chiodi, il rigorista della stella

«E Chiodi, mister, cosa fa?». «Lui tira rigori». C’era voluta la nota, vellutata ironia di Liedholm, all’epoca precettore del Milan lanciato alla conquista della stella, per ritrarre l’istantanea attendibile di Stefano Chiodi senza provocare dissidi interni. Felice Colombo, presidente di quel Milan poi precipitato nello scandalo delle scommesse, si guardò bene dal porre altri quesiti tecnici: Liedholm non gradiva intrusioni nel suo lavoro e lo testimoniava con risposte che avevano il sapore molto romano della «coglionella». Dietro la definizione del maestro svedese, un fatto inoppugnabile: Stefano Chiodi, atteso dopo il trasferimento dal Bologna come il bomber capace di far dimenticare ai milanisti le sciagurate imprese di Egidio Calloni non andò oltre qualche rigore, tirato come si deve, rincorsa decisa, e destro forte, centrale, nemmeno molto angolato. Così collezionò la bellezza di 6 centri, uno solo su azione riuscì a firmare, e del centravanti Chiodi si persero presto le tracce. Qualche tempo dopo, sbagliando proprio un rigore, condannò la Lazio a passare dallo spareggio per la promozione in A. Fu uno dei rari errori dal dischetto, non se lo perdonò per molti mesi.
Tornò d’attualità qualche mese dopo perché un paio di sigilli rifilati sulla schiena della Lazio, diedero il via al famoso calcio-scommesse che travolse mezzo Milan (coinvolti il presidente Colombo, Albertosi, Morini) e costò al club la prima retrocessione in serie B, quella definita «a pagamento» dall’avvocato Prisco, «la seconda fu gratis» la stoccata del vicepresidente interista. Fu una meteora, Stefano Chiodi, ragazzo timido e introverso, passato dal Milan alla Lazio chiudendo la carriera con l’ultimo passaggio a Prato.
Dal calcio si sentiva dimenticato in fretta. E così pensò bene di cambiare mestiere: un ristorante e una pizzeria furono le attività avviate con i guadagni messi da parte insieme con la moglie Fausta, alle porte di Bologna, nella bassa. Si era ammalato da tempo, è morto ieri all’ospedale Maggiore di Bologna. Non sono mancati ricordi sinceri e rievocazioni.

Chissà se saneranno i suoi rimpianti.

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