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Addio guardia medica, ma i sindacati alzano le barricate

Sarà una vera rivoluzione il nuovo modello di medicina generale di base previsto dall'Atto di indirizzo. I pazienti si chiedono se la «staffetta» tra medici garantirà effettivamente migliori livelli di assistenza e minori intasamenti al pronto soccorso a scapito di chi ha davvero urgenza; le regioni fanno i conti con i bilanci sempre più ridotti mentre i camici bianchi sono alle prese con una profonda ristrutturazione. Di riorganizzazione si parla da tempo. L'Accordo collettivo nazionale per la medicina generale dal 29 luglio 2009 ha istituito le Aft (Aggregazioni funzionali territoriali) e le Uccp (Unità complesse di cure primarie).

Alcune sperimentazioni sono già in atto come le Case della salute in Emilia-Romagna e Toscana e i risultati appaiono positivi. Ma i sindacati dei medici sono divisi nell'affrontare la trattativa verso la realizzazione dell'Atto di indirizzo. Giacomo Milillo, segretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale, la più rappresentativa), ha dato giudizio positivo pur proponendo alcuni aggiustamenti mentre più polemico è lo Smi (Sindacato medici italiani) che paventa una riduzione dei posti per i medici e un affollamento del pronto soccorso.

La polemica più accesa riguarda la cancellazione della guardia medica notturna. Con i medici di base al lavoro a turno fino alle 24, i compiti delle guardie mediche saranno assorbiti dal pronto soccorso. Per i medici di guardia si apre la necessità (e l'opportunità) di un nuovo percorso professionale negli ambulatori a rete. Nei giorni scorsi i medici di guardia e alcune associazioni di consumatori sono scesi in piazza contro la riforma. Le guardie mediche gestiscono di notte i «codici bianchi», cioè i casi meno gravi di chi si rivolge al pronto soccorso. La preoccupazione riguarda soprattutto i centri minori, i piccoli ospedali e le isole. Sono 12.027 le guardie mediche in Italia. Oltre la metà (6.916) si trova al Sud e nelle isole. Anche i servizi di guardia medica sono più numerosi nel Mezzogiorno che nel resto d'Italia: 1.672 su 2.893, il 58 per cento.

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