Cultura e Spettacoli

Addio a Mike Stern, reporter di guerra e giornalista della Dolce Vita

Aveva 99 anni. In Italia arrivò durante la seconda guerra mondiale e ci rimase per 50 anni. Intervistò il bandito Giuliano poco prima che l'uccidessero e lavorò in cinque film negli anni di «Via Veneto». Fu il più potente «americano a Roma»

Qualcuno, probabilmente andando molto vicino alla verità, una volta ha scritto che la vita di Mike Stern trascorreva in un'atmosfera da romanzo a metà tra il Gregory Peck di «Vacanze Romane» e il Cary Grant di «Intrigo Internazionale». Michel "Mike" Stern - morto oggi a Palm Beach, in Florida, all'età di 99 anni - fu in effetti un personaggio "curioso", in tutti significati della parola. Non fu solo un giornalista, anzi un grande giornalista. Fu tante cose: scrittore, «viveur», in qualche modo politico, per alcuni una spia...
L'Italia la conosceva molto bene, avendoci vissuto cinquant'anni. Ci arrivò durante la seconda guerra mondiale. Sbarcò a Anzio nel 1943 con il grado di capitano al seguito della Quinta Armata. Il 3 giugno 1944, con un giorno di anticipo sulle truppe alleate, entrò a Roma da cui i Nazisti erano in fuga. Corrispondente di guerra, rimase incantato dalla Città Eterna. Aveva pensato di fermarsi due anni: ci restò per 50. Il suo momento di fama come reporter - secondo molti in odore di Oss, l'agenzia di intelligence di James Jesus Angleton antesignana della Cia - arrivò nella primavera 1947, nei giorni della strage di Portella della Ginestra, con una intervista-fiume al bandito Salvatore Giuliano per «True», il più importante periodico dell'epoca. Lo intervistò, e fu l'unico al mondo a farlo, sui monti di Montelepre, pochi giorni prima che l'uccidessero. In quella occasione il bandito, definito il «Robin Hood d'Italia», avrebbe consegnato al giornalista una lettera per il presidente Harry Truman in cui chiedava all'America aiuti e armi per la causa degli indipendentisti.
Ma Stern non fu soltanto un giornalista da «trincea»: visse in prima linea anche la Via Veneto della «Dolce Vita». Tra 1960 e 1988 partecipò alla produzione di cinque film tra cui due con Ugo Tognazzi e uno con Rita Hayworth e Anthony Queen. Sette i libri al suo attivo tra cui «No Innocence Abroad» del 1947, una raccolta di interviste a personaggio come Lucky Luciano, e «An American in Rome» - «Un americano a Roma» - uscito nel 1964.
Per anni fu il punto di riferimento per ogni americano importante che passasse dal nostro paese. Tanti, pluridecennali, i contatti con l'Italia della Prima e della Seconda Repubblica che nel 1998 lo aveva fatto «cavaliere»: anima e mente della «Intrepid Foundation» (il «Museo del Mare» ospitato sulla portaerei della seconda guerra mondiale Intrepid oggi ancorata sul molo 86 della 46esima strada di Manhattan) nel 2006 consegnò a Silvio Berlusconi come «a un nuovo Alcide De Gasperi» il «Freedom Award», un premio che negli anni precedenti la Fondazione aveva assegnato a personaggi come Reagan, Thatcher, Bush padre, Powell, Cheney, Rumsfeld, Eltsin, Rabin, McCain, Albright, Giuliani, Bill e Hillary Clinton... Ma prima del premio a Berlusconi, Stern aprì nel 1995 le braccia all'allora presidente di An Gianfranco Fini dopo la svolta di Fiuggi. L'ultima polemica è recentissima: in un'intervista a Marco Deaglio per il film «Uccidete la Democrazia», Stern era tornato a parlare dell'intervista a Giuliano e della strage di Portella della Ginestra provocando interrogazioni parlamentari.
Negli ultimi tempi l'ex giornalista si era dedicato anima e corpo alla filantropia: iniziative per la lotta al Parkinson, all'Alzheimer e a favore dei reduci delle guerre in Iraq e in Afghanistan.

Ma nel suo studio sulla portaerei in disarmo Intrepid ancorato a un molo di Manhattan decine di cimeli evocavano il suo passato (indimenticabile, per lui e per noi) a cavallo tra «Intrigo Internazionale» e «Vacanze Romane».

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