Cultura e Spettacoli

Alice batte Avatar: è l’ultima magia di Burton e Depp

Il trasgressivo duo regista-attore coglie un inaspettato record d’incassi grazie al film tratto dai libri di Carroll. Ma per i vecchi fan il sodalizio si sta "normalizzando" e inizia a mostrare la corda

Alice batte Avatar: è l’ultima magia di Burton e Depp

Centosedici milioni di dollari incassati negli Stati Uniti, otto milioni di euro incassati nel primo fine settimana in Italia da Alice in the Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie) di Tim Burton... A imporre al grosso pubblico - gli altri l’apprezzano da quindici anni - il regista californiano è dunque la sua opera meno personale. Al botteghino (in Italia il film ha battuto tutti i record di incasso) succede come ai festival: si premia l’autore giusto per il film sbagliato.

Alice in Wonderland è ispirato da due libri di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio. Sono episodi del viaggio nel regno sotterraneo della fantasia di una bimba inglese e borghese ottocentesca, che in Italia corrisponde a Pinocchio. Ma l’orientamento è antagonista: Collodi è per il ritorno all’ordine; Carroll per la trasgressione.

Sullo schermo la vicenda di Carroll era già arrivata col cartone animato Alice nel paese delle meraviglie, firmato da Clyde Geronimi, Hamilton Luske, Wilfred Jackson e Walt Disney (1951). Per i tempi - i giorni della guerra in Corea e dei processi ai cineasti per le attività antiamericane - risultò un’opera trasgressiva, d’ispirazione surrealista, che rappresentava gli effetti delle droghe. Non fu un caso: una prima sceneggiatura era stata commissionata di Aldous Huxley...

È probabile che Burton - col suo senso dell’orrore, non dell’amore, connesso all’infanzia - sia sembrato il regista giusto per continuare su questa strada. Invece Burton - o la Disney - hanno reso Alice adolescente, addirittura alle soglie di una richiesta di fidanzamento da parte di un aristocratico. È avvenuto per prevenire che sul film s’addensassero le stesse accuse di pedofilia piovute sul romanzo? Nessuno discute la propensione di Carroll per le ragazzine, ma ormai c’è una corrente minimalista, facente capo a Karoline Leach (vedi il suo erudito Lewis Carroll. La vita segreta del papà di Alice, Castelvecchi), che ritiene la sua una propensione amorosa e non solo affettiva, ma non necessariamente una propensione erotica. E poi c’era da evitare che si facesse un paragone con l’imbarazzante precedente - per le piccole perversioni poi affiorate dell’interprete Paul Reubens di Pee Wee's Big Adventure, primo lungometraggio di Burton.

Conoscendo l’identificazione coi devianti (a vario titolo) di Burton, alcuni si aspettavano che Carroll divenisse una sorta di archetipo di Ed Wood, il regista evocato da Burton nel suo film omonimo, anche nell’indossare intimo per signore, sebbene fosse eterosessuale. Invece Alice in Wonderland è stato letto dalla critica più come un prodotto dell’«ideologia Disney» (casa che lo distribuisce) che dell’«ideologia Tim-Burton». E naturalmente dell’«ideologia Johnny-Depp», cioè dell’alter ego di Burton, che in Alice in Wonderland interpreta il cappellaio matto.

Pochi attori sono stati a tal punto, per tanti film, l’emanazione del regista. Ma il sodalizio Burton-Depp comincia a mostrare la corda. Un autore e un attore sanno raccontare due-tre tipi di storie e interpretare due-tre tipi di personaggi: all’ennesima collaborazione rifanno il già fatto, stancando i devoti; i non devoti, invece, cominciano finalmente ad accorgersi di loro e ad amarli, tanto più se l’intonazione acre tipica del duo trova un argine nelle esigenze commerciali.

Insomma, si sta verificando ora quel che già vent’anni fa agghiacciava Depp. Lo spiega lui stesso dice nella prefazione al libro-intervista curato da Mark Salisbury, Burton racconta Burton (ed. Kowalski): «Nell’inverno 1989 lavoravo in una serie tv a Vancouver. Dovevo fare roba sempre uguale e che per me rasentava l’ideologia fascista (poliziotti nelle scuole, non dico altro!)».
Sarà un caso, sarà una necessità, in Alice in Wonderland a Depp sfugge il suo personaggio tipico, quello dell’emarginato, sul quale Eleonora Saracino ha sviluppato un notevole libro (Johnny Depp, Gremese). Il ruolo passa così a Helena Bonham-Carter, la reale moglie di Burton: è lei a impersonare la Regina Rossa, nana, macrocefala, temuta, non amata, che, come ogni cattivo, ha spunti più interessanti che quelli del buono, anzi della buona: la stucchevole Regina Bianca di Anne Hathaway. Altri personaggi del film - draghi, ecc. - erano già stati banalizzati da altri film, con e senza effetti speciali.

Forse la confluenza di una storia stra-nota e di un incubo attenuato hanno reso Alice in Wonderland la miscela giusta per chi pativa per le decapitazioni del Mistero di Sleepy Hollow e gli sgozzamenti di Sweeney Todd. Per Burton e Depp, ecco la peggiore nemesi: tornare all’ordine. Come faceva Pinocchio.

Come non faceva Edward mani di forbice.

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