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"Le analisi del Dna? Un aiuto per amare di più il mio bimbo"

Una relazione contrastata, i dubbi sulla paternità e la scelta di sapere

"Le analisi del Dna? Un aiuto per amare di più il mio bimbo"

C'è una verità che solo il Dna può svelare. Una verità ora talmente accessibile da spaventare, ma che lentamente sta perdendo l'aura del tabù, dell'eccesso. Per questo nella storia di Francesco (nome di fantasia) si potrebbero riconoscere tutti quegli uomini che hanno voluto avere la certezza della propria paternità e hanno cercato una risposta alla più elementare delle domande: sono davvero io il padre? A volòte sono i figli a pretendere la verità. «Può capitare che i ragazzi stessi arrivati a diciotto anni chiedano i danni al genitore che non li ha riconosciuti spiega l'avvocato Marisa Marraffino del Foro di Milano - Il figlio può chiedere i danni morali e la madre chiede il rimborso delle spese sostenute per il mantenimento e l'istruzione». Le cifre «possono superare i centomila euro». Se un padre si oppone al test si può fare causa e richiedere «al tribunale il riconoscimento giudiziale di paternità». E il giudice può disporre che venga effettuata la prova del Dna anche in mancanza di consenso dell'interessato. Nel caso di Francesco, invece, tutto è partito da un dubbio sulla buona fede della propria compagna.

Che cosa era successo?

«Lo scorso anno la persona con cui stavo è rimasta incinta. Non era una gravidanza particolarmente desiderata, ma l'abbiamo portata avanti. Nel frattempo il rapporto si è incrinato e si sono affacciati i dubbi».

Pensava che la tradisse?

«Sì, avevo dubbi dal punto di vista della fedeltà».

E quando è nato il bambino?

«Non appena possibile ho voluto fare il test del Dna».

La sua compagna come ha reagito?

«Sperava che mi fidassi, ma io insistevo. Le ho fatto capire che era il caso di chiarire. Mi sono rivolto a un laboratorio. Non ho portato il bambino. Il prelievo è stato fatto su di me, un normale tampone di saliva».

Come è stata l'attesa?

«Speravo, sentivo che era mio figlio».

Lo è?

«Sì, è mio figlio. Quando ne ho avuto la certezza è come se fosse nato una seconda volta».

Sottoponendosi al test ha rischiato una delusione difficile da sostenere.

«Se l'esito fosse stato diverso, sarebbe stato umiliante. Peggio, però, vivere con il dubbio. Non mi sento di dare lezioni a nessuno, ma io non l'avrei tollerato. È brutto mettere in dubbio una relazione, ma visto che la tecnologia offre questa possibilità, a mio parere va bene sfruttarla. Anche se ci si mette in gioco un po' tutti. Del resto diventa impossibile voler bene al bambino nella maniera completa con un dubbio del genere».

Il rapporto con la sua ex compagna è cambiato?

«Ci siamo riavvicinati, anche se la relazione non è ripresa.

E ora gestiamo il bambino nel modo migliore possibile, alternandoci».

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