Cinema

Arnold Schwarzenegger e la carica (televisiva) delle "vecchie glorie"

"Fubar" su Netflix è un successo, così come le fiction con Sylvester Stallone e Kevin Costner

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Si sono sfidati per anni sugli schermi del cinema per il podio del migliore nell'interpretare la parte del duro, del guerriero imbattibile. E poi maturando, entrambi si sono di nuovo sfidati nella capacità di mischiare l'avventura, l'action all'umorismo, ad un po' di sana presa in giro verso se stessi. Ora qualcuno avrebbe potuto pensare che per queste due vecchie glorie hollywoodiane fosse arrivato inevitabilmente il viale del tramonto. Eppure Sylvester Stallone, classe 1946, e Arnold Schwarzenegger, classe 1947, si sono reinventati per l'ennesima volta spostandosi in quella che è la nuova mecca creativa: la serie televisiva. Per rendersene conto basta fare un incursione su Netflix per dare un'occhiata alla nuova serie creata come un prodotto sartoriale attorno al sempre massiccio personaggio di Schwarzenegger: Fubar.

La ricetta, calibrata al grammo, degli otto episodi è un mélange tra azione e umorismo che sembra essere stata molto gradita dal pubblico, almeno a giudicare dalla rapidità con cui la serie è diventata una delle più viste di Netflix. Fubar non è un prodotto innovativo, anzi pesca in un filone che ha preso sempre più piede a partire dalla serie dei film Red con Bruce Willis e che aveva già contagiato le serie con prodotti come il recente The Recruit. Anzi Schwarzenegger era stato un apripista anche in questo con True Lies (1994), diretto da James Cameron. Nella pellicola infatti vestivai panni di Harry Tasker, agente segreto che in famiglia fingeva, mantenendo la sua copertura, di essere un venditore di computer. Anche in quell'occasione il film ebbe successo come spy-comedy, capace di coniugare ironia e azione. Fubar si muove in quella scia.

La particolarità è il confronto padre-figlia sullo sfondo di una spy story internazionale, che rinnova questo canovaccio con un tocco di originalità. Ma veniamo alla trama senza svelare troppo. Schwarzenegger interpreta Luke Brunner, un agente Cia vicino alla pensione che vorrebbe recuperare il rapporto incrinato con la sua famiglia (che lo crede da sempre impiegato in una ditta di attrezzature sportive). L'obiettivo di Luke sarebbe trascorrere più tempo con la figlia Emma (Monica Barbaro) e riconquistare la sua ex moglie Tally (Fabiana Udenio). Ma prima di dire addio ai servizi segreti deve liberare un agente sotto copertura, infiltrato tra gli scagnozzi di un trafficante di armi. Il che da vita ad una sciarada giocata in casa perché l'ostaggio è proprio la figlia di Luke. Il risultato è una serie leggera e divertente, dove Schwarzenegger è una solida certezza e Monica Barbaro è una vera sorpresa.

Quanto a Sylvester Stallone è stato persino più rapido ad impossessarsi del nuovo format lo trovate su Paramamount+ con Tulsa King. Concepita da Taylor Sheridan (la tetralogia sul West partita con Sicario e una serie come Yellowstone), e da Terence Winter, la serie calza come un guanto a Sylvester Stallone che ha dimostrato, una volta di più, quanto sappia resistere a dispetto del tempo, dei cambiamenti profondi intervenuti nei media e nel pubblico. E giocando proprio con la sua immagine da T-rex fuori dal tempo. Tulsa King lo vede nei panni di Dwight il Generale Manfredi, ex affiliato di una potente famiglia mafiosa newyorkese. Uscito dal carcere dopo 25 anni per omicidio, invece del rispetto che creda gli spetti, per il silenzio e la fedeltà dimostrate, trova imbarazzo, freddezza e una ricompensa umiliante: venire spedito come un vecchio arnese inutile nella città di Tulsa (in Oklahoma) per allargare il territorio della Famiglia. Manfredi, dopo la detenzione, e buttato nel nuovo secolo, è privo di qualsiasi coordinata. Imbranato con la tecnologia, annichilito da stili di vita e nuovi valori che ai suoi occhi di vecchio gangster italo-americano non stanno né in cielo né in terra. Tuttavia non ci mette molto grazie alla sua grinta da vecchia scuola a creare un suo piccolo impero personale.

Insomma è quasi una metafora di quello che Stallone ha fatto nel mondo delle serie.

Se si conta che proprio grazie a Taylor Sheridan, che citavamo prima, Kevin Costner, che infondo è solo un ragazzino di 68 anni, è tornato ad essere famoso ed apprezzato, grazie a Yellowstone quasi quanto al tempo dei suoi migliori colossal degli anni Novanta risulta chiaro che il connubio vecchia stella e serie televisiva funziona e caratterizzerà le produzioni per un bel po'.

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